Origini

 

Fondata secondo la leggenda dall'eroe omerico Diomede, le origini di Orsara risalgono certamente all'antichità, come si desume da alcuni ritrovamenti archeologici che attestano i contatti con gli Osci e gli Irpini. In età romana fu interessata dalle operazioni belliche della seconda guerra punica. Presumibilmente vi passava la via Herculea, fatta costruire dall'imperatore Massimiano nel tardo III secolo.

Il toponimo potrebbe derivare dalla presenza di orsi oppure dalla dimora, in età longobardo-bizantina di un personaggio di nome Ursus. Nell'VIII secolo vi si stabilì una comunità di monaci basiliani, dedita al culto per l'arcangelo Michele che veniva venerato nella grotta che oggi prende il suo nome.

Nel medioevo l'abitato di Castrum Ursariae fu dotato di mura, che la proteggevano dalle incursioni straniere. Nel XIII secolo vi si insediarono i cavalieri dell'ordine di Calatrava, provenienti dalla Spagna.

Orsara di Puglia è un comune italiano di circa 3.000 abitanti della provincia di Foggia. Fa parte della Comunità Montana dei Monti Dauni Meridionali. Denominata Orsara Dauno Irpina fino al 1884, ha fatto parte della provincia di Avellino fino al 1927. Il nome attuale deriva dal latino ursus, ossia orso con l'aggiunta del suffisso -aria per indicare un luogo con la presenza di orsi. La specifica identifica la zona.

 

 

TERRITORIO

Il centro urbano si distende su un declivio del Subappennino Dauno, 650 metri s.l.m.. Il territorio comunale è delimitato ad est dal fiume Cervaro, che segna il confine con Bovino, a nord dal torrente Sannoro, che la divide da Troia, ad ovest dai monti che vanno verso Celle di San Vito, a sud dai monti che vanno verso Panni e Montaguto. Confina con Bovino, Castelluccio dei Sauri, Celle di San Vito, Faeto, Greci (AV), Montaguto (AV), Panni, Troia. Fa parte della Comunità Montana Monti Dauni Meridionali. Il suo clima è abbastanza rigido inverni freddi con alcune nevicate, quindi si va spesso sotto lo 0° C ed estati fresche 20° C.

 

STORIA

Le citazioni più antiche indicano il paese con i nomi di URSARA, URSARIA, URSORIA, URSANO, URSANA, ORSARIA, ORSAJA, TORRE ORSAIA, LORSARA e MONTORSARA; talora vi e l'aggiunta di CASTELLO, CASTRUM o TERRA. Nel dialetto locale il nome è pronunciato "URSAR" e quello de­gli abitanti "URSARIS" (singolare URSARAS) con le consonanti finali dolci. L'originaria denominazione di ORSARA in Capitanata fu mutata in ORSARA DAUNO-IRPINA col R.D. 22.1.1863 n. 1140 e in ORSARA DI PU­GLIA col R.D. 8.8.1884 n. 2569. La provincia di Capitanata e Molise ebbe come capoluogo Lucera fino al 1806 e, poi, Foggia con i dipendenti distretti di Manfredonia e Larino (L. 27.9.1806 n. 189), a questi ultimi, nel 1811 (R.D. 4.5.1811 n. 922), furono sostituiti i distretti di San Severo e Bovino. Orsara fu inclusa prima nel distretto di Foggia, poi in quello di Bovino. Dopo l'unificazione dell'Italia, fu aggregata al distretto di Ariano ed alla provincia di Avellino (Decreto Luogotenenziale 17.2.1861 n. 85 e, nel 1927, riportata nella provincia di Foggia (R.D.L. 1.4.1927 n. 1301). Nei tempi più antichi la funzione giudiziaria era demandata al feudatario, che la esercitava tramite le corti baronali ; per gli affari più importanti era competente la Regia Udienza Provinciale, che ebbe sede a San Severo fino al 1579 e poi a Lucera. Abolita la feudalità (L. 2.8.1806), le Regie Udien­ze Provinciali furono sostituite dai Tribunali (L. 27.9.1806) e dai Giudici di pace (L. 20/5/1808) aventi competenza su un territorio detto -circondario". Nel 1817 (L. 29/5/1817) i Giudici di pace furono sostituiti dai Governatori (in seguito detti Pretori) in ogni circondario e dai Giudici Conciliatori in ogni Comune. Ad Orsara vi era già il carcere prima del 1806; si utilizzavano a tal fine i pianterreni del palazzo baronale. Nel 1808, il paese fu incluso nella giurisdizione del giudice di Pace di Troia finché, con decreto di Gioacchino Murat in data 3 novembre 1813, divenne capoluogo di circondario con giu­risdizione estesa ai vicini comuni di Greci e Montaguto. Il già citato decreto luogotenenziale n. 85 del 1861 unì al Tribunate di Ariano il circondario di Orsara ampliato con l'aggiunta di Savignano. Nel 1927 (col R.D.L. già citato) la Pretura di Orsara fu inclusa nella circoscrizione del Tribunale di Fog­gia e il territorio del mandamento fu modificato con l'aggiunta di Panni e l'esclusione di Greci, Montaguto e Savignano. Il D. P. R. 31/12/1963 n. 2105 aggregò Panni al mandamento di Bovino. Dal pri­mo dicembre 1989 il locale ufficio della Pretura è stato soppresso ed unito alla Pretura Circondaria­le di Foggia (Legge 1.2.1989 n. 3; D.L. 15/5/1989 n. 173; L. 11/7/1989, n. 251.
Del tutto banale è l'opinione che fa derivare il nome di Orsara dalla famiglia Orsini, che, in tem­pi relativamente recenti, vi ebbe vasti possedimenti. Non valida inoltre anche la prospettata derivazione da aer sanus o da or si sana per l'aria salubre che, anticamente, avrebbe fatto destinare il luogo alla cura dei soldati feriti. Più eruditi, ma difficili da avallare, sono i riferimenti sia all'antico popolo degli Ursentini e sia a radici verbali greche che, richiamando creden­ze animistiche preistoriche, dovrebbero giustifica­re la tesi di un'origine antichissima del paese. Più accettabile sembra l'opinione che ritiene il toponimo derivato dall'animale anticamente frequente nella zona. La leggenda riferisce che il paese si costituì ove era la tana di un'orsa con due cuccioli; perciò lo stemma araldico del Comune raffigura l'orsa rampante con una quercia e due orsacchiotti. Secondo un'antica leggenda, Orsara sarebbe sta­ta fondata dal re Malenzio nell'anno 2785 del Mon­do (2725 a.C.). Malenzio era figlio di Dasunno, pronipote di Minosse, re di Creta, e discendente di Noè; era il padre del re Dauno ed edificò Ecana (og­gi Troia) in memoria di sua moglie Ecania. Un' altra leggenda attribuisce la fondazione di Orsara al mitico eroe greco Diomede. Costui, toma­to dalla guerra di Troia e scoperto l'adulterio della moglie Egiale, si allontanò dalla sua patria Argo in Grecia ed approdò con i compagni in Puglia. Qui guerreggiò a lungo con le popolazioni locali finché si convenne di affidare le sorti della guerra ad un torneo; vincendolo, Diomede ebbe in moglie Isiona, quartogenita del re Melenzio, con il Gargano e la città di Ecana. In seguito, l'eroe greco dovette affrontare altre guerre e costruì il castello fortifica­to di Orsara per tenervi i suoi depositi e farvi cura­re i compagni feriti. E' evidente che queste leggende collegano l'origine di Orsara alla colonizzazione greca dell'Italia meridionale avvenuta tra l' VIII e il VI secolo a. C. Prescindendo dalle leggende, ce da notare che alcuni interessanti reperti archeologici, rinvenuti in Iocalità Serro Forcella (circa cinque chilometri a nord-est del paese) e conservati nel museo locale, indicano che, nell'XI secolo avanti Cristo, la zona di Orsara era abitata da genti in contatto con gli Osci e gli Irpini. Va anche rilevato che il centro abitato è costruito su un ammasso compatto di arenaria con molte grotte naturali; queste, probabilmente, favorirono i primi insediamenti umani in tempi preistorici. Importanti eventi si verificarono nella zona di Orsara durante la seconda guerra punica, che eb­be come protagonisti Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, comandante dei Romani, e Annibale, comandante del Cartaginesi. L'accampamento romano fu posto nei pressi di Ecana o, secondo una tradizione locale, a Monte Cimato. Per attraversare questo monte dall'una all'altra pendice, i Romani avrebbero scavato una galleria, laddove tuttora si vede l'imbocco di una grotta detta Grotta di Calavone; il nome sembra ricordare il capo saraceno Calfone, che tra l'850 e l'861 d.C. scorrazzò in questa regione saccheggiando ed uccidendo.
Annibale era accampato a Monte Calvello (la località nei pressi dell'odierno Borgo Giardinetto, era ancora denominata Castra Annibalis nel medioevo); non avendo possibilità di continuare ad approvvigionare il suo esercito in Puglia, ove i raccolti erano stati distrutti, attraversò la valle del Cervaro e sconfinò a far bottino nella ricca Campania. Nel III secolo a.C. la valle del Cervaro non era attraversata da una strada; quella oggi esistete (SS.90) fù costruita agli inizi del XIV secolo, forse risistemando una via preesistente detta Via Erculea questa, voluta dall'imperatore Caio Valerio Massimiano detto Erculeus (240-310 d.C.) congiungeva Venosa ad Equotutico (città ora distrutta, tra Greci e Castelfranco). Si è fatta anche l'ipotesi che la strada romana attraversasse Orsara identificabile con la stazione di posta denominata Ad Matrem Magnam. L'anno successivo, poco prima della battaglia di Canne avvenuta il 2 agosto del 216 a.C. i consoli romani Terenzio Varrone e Paolo Emilio posero un presidio ad Orsara e, per rafforzarne le difese naturali costruirono le torri in località Castello, ove ancora oggi si vedono dei ruderi. All'epoca romana appartengono alcuni reperti trovati nel territorio di Orsara e cioè un'epigrafe rinvenuta in località Pietra Scritta o Parcarelle ed una statua, detta volgarmente Madonna di Macinante dal luogo del rinvenimento, ma forse raffigurante la dea Cerere. Nel dicembre del 546 d.C., durante la guerra gotico-bizantina (535-553), nella valle del Cervaro avvennero importanti battaglie tra i Goti di Totila ed i Bizantini, comandati da Giovanni il Sanguinario luogotenente di Belisario, e da Emilio Tulliano, capo militare di Siponto. Vi parteciparono anche contadini del luogo e ciò indica che la zona era notevolmente popolata. Orsara si ingrandì tra il VI e VII secolo d.C.
Orsara si ingrandì tra il VI e VII secolo d.C. Quando vi si rifugiarono gli abitanti di Ecana. Questa città posta circa due chilometri ad est dell'odierna Troia era un importante nodo della Via Trajana; fu distrutta alla fine del VI secolo dai Longobardi. Gli Ecanesi fuggiaschi portarono ad Orsara le reliquie della loro chiesa ed incrementarono la comunità cristiana che vi si era costituita fin dal IV-V secolo. L'abbazia si costituì ad Orsara successivamente; infatti, data la grande importanza che assunse, non avrebbe mancato di dare nome al paese se si fosse costituita prima del centro abitato.
L'abbazia si costituì ad Orsara successivamente; infatti, data la grande importanza che assunse, non avrebbe mancato di dare nome al paese se si fosse costituita prima del centro abitato. Il monastero sembra sia stato fondato nell'VIII secolo, quando la zona era ancora controllata dal Bizantini, da monaci venuti dall'Oriente per sfug­gire alle persecuzioni della Guerra Iconoclasta (726­843). L'insediamento fu favorito dalle grotte naturali ivi esistenti ed, in particolare, da quella ancora oggi dedicata al culto di S. Michele. Molti indizi confermano che fondatori del monastero furo­no i monaci orientali, impropriamente detti Basiliani solo perché si ispiravano agli insegnamenti di S. Basilio il Grande (330-379 d.C.). Fra questi indizi si indicano:
- il culto di S. Michele, di origine orientale è molto praticato nei cenobi bizantini, che vi dedicavano, possibilmente, una grotta;
- il fatto che i territori appartenenti all'abbazia erano denominati Laura (oggi la località e detta Montagna) considerato che laure erano chiamati i cenobi basiliani;
- l'esenzione dell'abbazia dalla giurisdizione dei vescovi vicini di Ariano Irpino, Bovino e Troia (que­sti vescovati, peraltro, furono costituiti tra il X e l'XI secolo e, quindi, dopo il monastero di Orsara);
- alcune caratteristiche peculiari delle chiese bizantine, come l'abside rivolto ad oriente, ancora rilevabili nella chiesa abbaziale (oggi detta Annunziata) di Orsara;
- il ricordo che in questa chiesa esistevano dipinti bizantini su tavole.
Alla fine del VIII secolo la zona di Orsara cadde sotto il controllo dei Longobardi, che la fortificarono costruendo le antiche torri romane, in modo da farne un baluardo contro i Bizantini che controllavano la pianura pugliese. Però la tradizione che i Longobardi avrebbero destinato il paese a soggiorno e cure dei soldati feriti è abbastanza incongruente se si considera che si era in una zona di frontiera. Nel 1009 Melo da Bari e il cognato Datto si ribellarono ai Bizantini e si allearono con i Longobardi. Nella lunga guerra che ne seguì, Melo stabilì un forte presidio ad Orsara e, nella zona ancor oggi Guardiola, approntò le difese contro i nemici facendo anche costruire, in posizione un po' più arretrata nella località oggi detta Piano del Pozzo, la chiesa di S. Salvatore. In seguito questa chiesa rimase abbandonata finché Troiano Staffieri la ricostruì e la dotò di rendite con un atto del notar Muccigno in data 16 gennaio 1621; la chiesa fu definitivamente abbattuta nel 1825 per far posto al cimitero oggi in funzione. Datto, aiutato dall'abate di Orsara che lo presentò ad Atenolfo, abate di Montecassino, ottenne dal principe Pandolfo IV di Capua la Torre del Garigliano in cui si fortificò. Le notizie fin qui esposte sono solo tradizioni non documentate storicamente. Orsara viene citata la prima volta, in un diploma dell'anno 1024 col quale il catapano bizantino Basilio Bogiano fissò i confini di Troia da lui fondata o, piuttosto, fortificata. Il confine indicato nel documento passava per la grotta di Orsara, onde il paese, presumibilmente possesso dei Longobardi, rimaneva fuori dalla giurisdizione di Troia.
Di epoca anteriore all' XI secolo e la chiesa abbaziale di S. Angelo, in seguito detta di S. Maria e, oggi, dell'Annunziata perché, in una certa epoca, fu sede della confraternita S. Maria Annunziata. La chiesa sembra una fortezza per la sue posizione sull'orlo di un precipizio e per la mancanza di qualsiasi elemento decorativo. Ha forma rettangola­re con l'abside orientato verso est e due ingressi laterali sul lato opposto. Sulla parete ad ovest vi sono due finestre monofore a centina ed una fine­stra centrale a livello più basso. La copertura è costituita da due cupole ellissoidi di diverse grandezza, intervallate da una volta a botte ed inglobate nei muri perimetrali. La tecnica costrutt­iva, indubbiamente orientale, conferma la sua origine bizantina. E' tradizione che la chiesa attuale sia l'unica navata superstite di una originaria Chiesa a dodici navate, che occupava tutta l'area dell'adiacente villetta comunale. Questa tradizione non ha fondamento; essa ricorda soltanto un passato più splendido, anche se lo stato attuale dell'edificio mostra evidenti le manomissioni ed i rimaneggiamenti subiti.
Ad un livello più basso, rispetto a questa chiesa vi è la Grotta di San Michele. Questa grotta, di origine naturale, ha avuto modifiche e adattamenti. Una rozza epigrafe, esistente nella grotta, indica che i lavori di miglioramento furono fatti da Martinus et Mini de Altamura nel 1527. In origine, 1'imboccatura della grotta dava su un ripido declivio; onde, per l'accesso, si costruì la scalinata scavata nella roccia.
Poi si creò lo spiazzo antistante all'imboccatura e vi si costruì la Chiesa dedicata a S. Pellegrino. Quest'ultima fu dedicata a questo santo e, forse, anche costruita nel 1643: quando l'arciprete Francesco Calvani (1642-52 ottenne da G.B. Astalli, vescovo di Troia (1626-46) 1'osso del pollice destro di S. Pellegrino, il cui corpo si conserva nella cripta della cattedrale di Foggia.
Già parzialmente crollata, la chiesa fu demolita nel 1810; se ne ricavarono le pietre impiegate a rinforzare la vicina Porta Nuova per sventare un attacco del brigante Arcangelo Curcio, che con duecento compagni, conduceva la guerriglia contro i Francesi.
In questa occasione, rimuovendo le fondazioni scaturì una sorgente la cui acqua, ritenuta miracolosa per guarire, faceva accorrere ammalati anche dai paesi vicini. Infine la chiesa di S. Pellegrino fu ricostruita agli inizi del 1900, migliorata nel 1934 dall'arciprete Teodorico Boscia e tra il 1960 e il 1970 fu restaurata ed abbellita dall'arciprete Michele Pepe con vetrate policrome e una porta in bronzo dell'artista Jorio Vivarelli.
Nella seconda metà dell'XI secolo, i Normanni conquistarono l'Italia meridionale abbattendo i principati longobardi e scacciandone definitivamente i Bizantini. I nuovi padroni favorirono il passaggio al rito latino dei vescovati, delle chiese e delle numerose comunità monastiche di rito orientale. I Bene­dettini di Montecassino ebbero molte concessioni, fra le quali, in prossimità di Orsara, i territori di Crepacuore e Castellione e i monasteri basiliani di SS. Nazaro sul monte Magliano, dei SS. Nicandro e Marciano ai piedi di Montemaggiore e di S. Angelo in Troia. Però i monasteri bizantini più importanti, an­che se dovettero adottare il rito latino, conservarono la loro autonomia e rimasero sottratti dalla giurisdizione del vescovo. Ciò accadde anche per Orsara, che, in tutti i diplomi dell'XI e XII secolo, non è mai compresa nella giurisdizione civile o ecclesiastica di Troia e ne è dichiarata espressamente separata nella bolla data dal papa Onorio II in data 9 dicembre 1127.Orsara non è neppure riportata fra i possedimen­ti incisi sulla porta di bronzo di Montecassino; per cui è evidente la sua assoluta autonomia sia dal vescovo che da altre autorità monastiche.
Altri documenti confermano che l'Abate di Orsara non era soggetto alla giurisdizione del vescovo (Abbas - exemptus aut nullius), del quale, peraltro, aveva il privilegio di usare le insegne (pallio, mitra, baculo, coturni ed anello); perciò, dipendeva direttamente dalla S. Sede cui pagava il censo annuo di un'oncia d'oro. Non si sa quando l'abbazia ebbe questi privilegi, ma è certo che li aveva nella prima metà del XII secolo ciò conferma che, all'epoca, aveva già quell'importanza che si acquisiva solo con una lunga tradizione. Inoltre va notato che, all'inizio del XII secolo le abbazie exemptae erano solo poche, scelte fra quelle più importanti. Le concessioni di questo privilegio aumentarono di molto nel corso del XII secolo; ciò non ostante dal "Liber censuum S. R. E." si rileva che, nel 1192, solo 62 monasteri dell' Italia meridionale erano exempti. In un documento del 1159 vi è un riferimento a Giuliano come primo Abate di Orsara, contemporaneo del Vescovo Guglielmo II normanno di Troia (1106-1141), per cui si può ritenere che, alla fine dell' XI secolo, un nuovo ordine monastico si insediò nell'Abbazia di Orsara sostituendosi ai Basiliani.
Nel XII secolo l'abbazia era tenuta da monaci spagnoli, cui dovrebbe essere stata concessa dalla S. Sede fin dall'epoca dell'abate Giuliano. Poiché per quest'epoca, non si hanno notizie di rapporti diretti tra l'Italia e la Spagna, la concessione dovrebbe collegarsi ai movimenti che si ebbero in tutto l'Occidente in occasione della Prima Crociata (1095-1099). Forse gli Spagnoli tenevano anche il monastero di S. Nicola de Gallitianis presso Troia; infatti la Galizia è una regione spagnola. Sono stati tramandati i nomi degli abati che vennero dopo Giuliano: Martino I (1125), Herus (1130), Martino II (1144), Pelagio (1159) e Petrus (1186). Il XII secolo fu il periodo d'oro dell'Abbazia dl Orsara; essa acquistò possedimenti in tutta la Capitanata. Oltre ad avere vasti territori nelle vicinanze di Orsara, l'abbazia possedeva il territorio di Monte Calvello (l'estensione era di 4800 moggi, pari a circa 350 ettari); a Foggia aveva la chiesa di S. Croce con un cimitero annesso; aveva anche fondi a Vaccarizza (piccolo centro abitato presso l'odierna Biccari) ed una salina a Siponto. Oltre il potere economico, l'Abate di Orsara aveva una grande autorità spirituale come si desume dalle numerose donazioni che gli venivano fatte e dalle contestazioni contro il Vescovo di Troia, che cercava di ingerirsi nei vasti possedimenti dell'abbazia. Dal Catalogo dei Baroni, che si ritiene compilato all'epoca del re Guglielmo II il Buono (1153-1189), si rileva che l'abate di Orsara (Abbas sanctae Ursariae) era anche feudatario, per cui accentrava il potere ecclesiastico e laico sul pae­se. Nel 1195, questo abate (non se ne conosce il nome) fece un prestito di 400 once d'oro (circa 12 chilogrammi) all'imperatore Enrico VI (1165-97); ne ottenne in pegno i casali di Mutato e Regiolano, presso Taranto, e l'avallo di Gualtiero da Palena vescovo di Troia e Gran Cancelliere del Regno di Sicilia; quest' ultimo gli concesse, a garanzia, il casale di S. Luppolo presso Foggia.
Al XII secolo appartiene un'epigrafe, che sembra la più antica, incisa su una pietra incastrata nel muro esterno della chiesa abbaziale: vi si legge : ...HIC REQUIES...CIT ABB(a)S YUH (il segno indicato con Y è difficile da interpretare e potrebbe essere P o S)...SECUN(dus)...REQUIESCAT IN PACE AM(en)".
Un'altra epigrafe, sul primo gradino dell'altare nella stessa chiesa, riporta: "PIETRO, abate di Orsara, originario di Leon (questa e una città della Spagna), saggio e pio, restaurò questa costruzione, dedicata alla SS. Trinità, decorandola in modo bello e sobrio" (HOC OPUS EXTRUXIT. SAPIENTER., LEGIONEnsis-PRUDENS. ATque: PIUS: PETRUS: ABBAS : URSARIEnsis EST. INDIVIDUE. SUB: TRINITATIS: HONore-HOC. TEMPLUM. FACTUM NITIDO PLACIDOque decore).
La dedica alla SS. Trinità costituisce un'ulteriore conferma dell'origine bizantina perchè, in Oriente si evitava la dedica a S. Michele per non incorre nell'eresia di Cerinto, un dottore ebreo del I secolo dopo Cristo.
Una terza epigrafe era riportata su una pietra tombale intorno ad un bassorilievo raffigurante un abate mitrato con insegne vescovili. Di questa pietra, frantumata in epoca recente, restano solo frammenti che non consentono di rilevare 1'epigrafe. Questa, peraltro, era composta solo di caratteri epigrafici di difficilissima lettura e, nel XVIII secolo, fu cosi interpretata: "Il 13 dicembre dell' anno 1003, indizione XII, Pietro, abate degli Orsaresi ed originario di Leon, dopo aver visto cosi scolpita e dipinta questa chiesa, fu qui sepolto" (MAGNI CHRISTI GRATIA FIDEI NOSTRAE ANNO MIII INDICTIONE XII PRIMO IDIBUS DECEMBRIS HOC SEPULCHRO TEMPLO HOC SEPULTUS PETRUS ABBAS LEGIONENSIS HUJUSMODI SCULPTUM DEPINCTUM VIDIT TEMPLUM).
Questa Interpretazione presenta errori grammaticali ed errori sostanziali che la rendono del tutto inattendibile.
L'abate Pietro delle epigrafi potrebbe essere lo stesso, che, senza qualificazione di Legionese, compare in un atto del 1186:
ciò, giustificando la continuità degli abati potrebbe confermare che effettivamente, alla fine dell'XI secolo, i monaci spagnoli sostituirono quelli bizantini nell'abbazia di Orsara.
Un diploma di papa Onorio III (1216-27) in data 25 agosto 1225, riferisce che l'Abbazia di Orsara possedeva anche la città di Bamba in Spagna. Bamba era stata la capitale del Regno dei Visigoti con i re Recesvindo (649-72) e Wamba (morto nei 680).
Su un epigrafe del X-XI sec? (Ipotesi del Prof. M. Lepore). Il XII secolo è il periodo d' oro dell'abbazia di Orsara. Dopo l'adesione al rito latino ottenne privilegi ed esenzioni, nonostante la presenza di un forte vescovado viciniore. Dopo il suo periodo di splendore sotto i Longobardi e i Bizantini, a dispetto del silenzio delle fonti storiche, agli inizi del XII sec. troviamo la Santa Orsara in uno stato di floridezza e di prestigio tale che non si possono spiegare con semplicistiche spiegazioni. L'Epigrafe esistente alla base dell'Abazia, adiacente il palazzo Baronale, e qui riportata ci lascia perplessi: HIC REQUIE/SCIT ABB(A)S SYC(H)ILP(E)TRI / SECUNDUS / REQUIESCAT IN PACE AM(EN). Non può essere attribuita al XII secolo ma va collocata in epoca anteriore, al X o XI secolo. Di questo Abate di cui non si trova menzione nei documenti ufficiali, è attestata però l'esistenza da questa epigrafe che forse non fu mai completata e che negli anni '70 mano ignota cercò di asportare. Un fatto è certo : l'Epigrafe non può riferirsi al XII secolo perché di questo secolo conosciamo gli Abati nei documenti ufficiali. E non può essere attribuita nemmeno al XIII sec., quando ai monaci di rito latino subentrarono i Calatrava, che eleggevano il Gran Maestro e di essi gli storici non ci hanno tramandato alcun SYCHELBERTO o SYCHILPETRI o SIGEBERTO, che non ha alcuna attinenza con la lingua spagnola. L'ipotesi più logica è l'appartenenza al secolo XI, anche perché il nostro è "Secundus", cioè il secondo Abate di questo nome. Resta però un problema non esplorato a fondo, il nome. Questo nome è di origine goto - longobardo - francofone. Il nome altro non è che un composto di SIKKO, SIKO, SIGO + B(P)ETRI (illustre nella vittoria) e ne troviamo un nome simile nell'M. G. H. quale scrittore di una cronica: Sigeberto di Gemboux (1030 - 1112). E' probabile che SYC(H)LP(E)PRI, SYCHELBERTO o SYGEBERTO sia da collegare alla presenza longobarda nel ducato beneventano e l'essere il secondo abate di questo nome conferma non solo una successione regolare di Abati nei tempi oscuri ma anche la vetustà della comunità monastica orsarese e la sua area di influenza longobarda. Tra l'altro questo abate esclude categoricamente la diatriba circa l'interpretazione del passo relativo all'Abate Giuliano, se sia da definirsi primo abate o primo abate di questo nome. Solo così si può spiegare il grande prestigio che già circonda la Santa Abbazia di Orsara all'alba del XII secolo. Ritengo che sia da attribuire ad un'epoca antecedente l'XI secolo per la sua origine squisitamente longobardo-gotica, quando ai monaci Basiliani si aggiunsero i Longobardi fedeli all'Arcangelo Michele, per l'affinità con Odino. Naturalmente non è categorica la successione degli Abati con lo stesso nome: è probabile che ci sia stata un'alternanza di abati di diverso nome. Perché la storiografia non ne fa menzione? La storia è sempre stata scritta dai potenti e dai vincitori e Orsara rispetto ai viciniori Vescovadi era perdente per la sua cultura di tipo orientale e per la lunga adesione al rito orientale (basiliano). I Longobardi nei primi tempi preferirono rispettare e proteggere i preesistenti insediamenti monastici orientali per non entrare in contrasto con l'impero d'oriente.
Con bolla in data 28 marzo 1229, il papa Grego­rio IX (1227-41), accogliendo la richiesta di Teresa, moglie di Alfonso IX re di Leon, e delle figlie Sancia e Dulcia, concesse l'abbazia di Orsara all'ordine monastico militare dei Calatrava, di cui era gran maestro Gonzalo Yanez De Novoa. Nella bolla è precisato che l'abbazia era già in possesso degli Spagnoli (...monasterium sancti Angeli de Ursaria...de Hyspanis fuit hactenus ordinatum...). L'ordine dei Calatrava, filiazione dei Cistercensi, era stato fondato nel 1152 dal re di Castiglia Sancio III per difendere la fortezza di Calatrava e per combattere contra i Saraceni. Anche se la circostan­za non è enunciata nella bolla papale, è presumibile che i Calatrava siano stati chiamati ad Orsara per costituire una postazione difensiva contro Federico II (1194-1250), che, dal 1223, aveva cominciato a trasferire a Lucera i Saraceni di Sicilia. I Calatrava stabilirono ad Orsara la loro casa generalizia italiana, filiazione di quella spagnola, ed assunsero il nome di Cavalieri di Calatrava e di S. Angelo. Edificarono, forse ampliando o rifacendo costruzioni preesistenti, il complesso dei fabbricati che circonda l' odierna piazza Mazzini (già piazza Calatrava) ed estesero i possedimenti abbaziali acquistando Castelluccio Valmaggiore, Celle S. Vito, Faeto, Ponte Albanito, l'importante monastero troiano di S. Nicola, che da quest' epoca fu detto dei Calatrava, Fragagnano (oggi in provincia di Taranto), la chiesa di Santa Maria di Ponto in Brindisi ed altri possedimenti, non meglio specificati, in Calabria, Sicilia e in Romagna. Il Monastero di S. Nicola in Troia fu fondato dall'abate Nicola all'epoca di Roberto il Guiscardo; ottenne l'esenzione dalla giurisdizione vescovile alla fine del XII secolo; possedeva la Pezza S. Nicola, tra Calvello e Foggia, estesa circa 1750 ettari. Lo stanziamento dei Calatrava ad Orsara fu accolto con grande entusiasmo dai partigiani del papa (Nobiles Italiae assumebant habitum Calatravensium); ma, la speranza che essi riuscisse­ro a mettere in crisi la monarchia sveva rimase delusa. I Calatrava, infatti, non lasciarono il ricor­do di alcuna azione militare; non intervennero nel 1232, quando Federico II distrusse Troia, che istigata dagli ecclesiastici, aveva osato resistergli; né nel 1256, quando l'esercito del papa, rinchiuso in Ariano, fu sopraffatto dal re Manfredi. Forse, però, presidiarono la Via Trajana e ciò giustificherebbe il loro acquisto della Valle Maggiore. Si ha notizia dei Calatrava di Orsara da due ordini regi: il primo fu dato da Manfredi (1232-1266) il 7 dicembre 1259 e il secondo da Carlo I d'Angiò (1266-1285) in data 25 novembre 1274; entrambi tutelavano il gran maestro di Orsara contra le molestie arrecate ai possedimenti abbaziali dal castellano di Montellere, che, al tempo degli Angioi­ni, era Symon De Chevreuse. Dei Gran Maestri Calatravensi di Orsara si ricor­da solo Placido Barbone, che forse fu l'ultimo; il nome era ancora rilevabile qualche secolo fa su una pietra tombale della chiesa abbaziale.Nella seconda metà del XII secolo, stabilitasi in Italia la Monarchia Angioina con l'appoggio del papa, la presenza dei Calatrava divenne inutile. Nel contempo, i patriarchi di Gerusalemme ed Antiochia chiedevano insistentemente aiuti militari per difendere le poche fortezze che i Cristiani ancora avevano in Terra Santa. Perciò, i Calatrava di Orsa­ra furono trasferiti parte in Spagna e parte a S. Stefano Aznatoraf in Siria; probabilmente ciò avvenne nel 1281.
In seguito il monastero non fu più abitato dai monaci e l'Abbazia fu solo un beneficio ecclesiastico e cioè un vasto complesso di beni destinato a dissolversi. Nel primo periodo l'abbazia fu data in "commenda" ad alti personaggi della S. Sede; in seguito, affievolendosi il ricordo della passata grandezza, fu concessa a persone meno impor­tanti. Durante gli anni (1285-87) in cui il re Carlo II d'Angiò (1248-1309) era prigioniero in Sicilia e la reggenza del regno di Napoli era tenuta da Roberto d'Artois, la Domus S. Angeli de Ursaria era data in commenda al cardinale di S. Nicola in Carcere Tulliano, che l'amministrava tramite il suo vicario frate Giacomo Bontraia. Il cardinale era Benadetto Caetani di Anagni; costui, dopo che il 16 dicembre 1294 fu eletto papa col nome di Bonifacio VIII, concesse a Filippo, arcivescovo di Trani, l'Abbazia di Orsara con tutti i possedimenti calatravensi d'Italia ("omnia bona, jura et iurisdictiones in Brundusina et Trojana civitatibus, et in Ursaria, Fragnanana ac in quibusvis Apulie, Sicilie, Calabrie et Romanie partibus ad domum militiae Calatravensis pertinenenta, dodum nobis, in minori officio constituis, concessa'). La concessione ai "commedatori" dava a questi ultimi solo il diritto di amministrare e godere i frutti dei beni abbaziali, la cui proprietà restava sem­pre ai Calatrava. Quest'ordine, infatti, fu titolare dell'Abbazia di Orsara fino a quando, il 17 aprile del 1303 nella fortezza di Calatrava in Spagna, il Gran Maestro Garzia Lopez De Padilla la cedette a Ferdinando IV, re di Leon e di Pastiglia(1285-1312); quest'ultimo l'acquisto per la madre Maria, e concesse ai Calatrava la fortezza di S. Stefano Aznatoraf ed i feudi spagnoli di Corita, Colledo, Sabiote e Cogolludo. Con ciò si venne a costituire sull'abbazia di Orsara il Diritto di Patronato, che dava alla regina Maria il diritto di nominare il rettore. Perciò, non sembra esatta la notizia, data dagli storici orsaresi, che l'abbazia in un inventario redatto nel 1300, sarebbe stata inclusa fra quelle di regio patronato appartenenti al re di Napoli. Mancano notizie di come questo diritto sia pervenuto al monarchi di Napoli, cui si trova attribuito nei secoli successivi; va, comunque, escluso che il patronato possa essergli stato con­cesso dal papa Clemente V nel 1311, durante il Concilio di Vienna. Filippo di Trani morì nel 1295 ed i possedimenti dei Calatrava tornarono nella disponibilità della S. Sede.
Nel 1305, l'Abbazia di Orsara aveva come commendatore Francesco Caetani, cardinale di S. Maria Cosmedin; ne era amministratore il suo vica­rio Bernardo Bufolo. Al Bufolo subentrò Bartolomeo Fontanarosa, che, fino al 1325, pagava le decime anche per le chiese di S. Felice e S. Gervaso site nei pressi di Crepacore. Francesco Caetani aveva già avuto, nel 1303, dallo zio Bonifacto VIII la concessione della chiesa di S. Nicola di Orsara, considerata come beneficto ecclesiastico distinto dall'abbazia ("...ecclesiam sive domum sancti Nicolai de Ursaria trojanae diocesis"). Questa chiesa sembra sia stata fondata alla fine dell'XI secolo nell'entusiasmo suscitato dalla noti­zia che le reliquie di S. Nicola erano giunte a Bari (la notizia è in un foglietto allegato ad un registro par­rocchiale di Orsara). La concessione al Caetani e il diploma di Carlo, figlio del re Roberto d'Angiò, che nel 1322 riconob­be il possesso di questa chiesa alla S. Sede, sono le prime notizie di un'altra chiesa, diversa da quella abbaziale, che si avviava ad essere la più frequenta­ta dalla popolazione. Francesco Caetani mori nel 1317 e non furono nominati altri commendatori.
Negli anni successivi amministratore dall'abbazia di Orsara era Raimondo di Calasanzia, la sua qualifica di milite fa pensare che abbia ricevuto solo un incarico provvisorio dal re. Fino a quest'epoca si hanno solo notizie dell'abbazia data la sua importanza preminente come centro di potere laico e spirituale.
A partire dalla fine del XIII secolo cominciano ad aversi anche notizie locali. In due documenti, redatti nel 1304 e nel 1309 il paese intervenne come universitas (oggi comune) il cui sindaco, insieme a quelli dei paesi vicini ed anche dei distrutti casali di Crepacore e Ripalonga si accordò per la confinazione dei rispettivi territori comunali. Questa questione si trascinò per molti anni e fu risolta soltanto alla fine del 1800. Si ha anche notizia di feudatari laici; possedimenti avevano i conti Sabrano di Ariano, Goffredo di Fondi e Benedetto di Palena. Per agire contro questi ultimi, che cercavano di appropriarsi dei beni abbaziali, il papa Giovanni XXIII ne dette incarico a Guglielmo di Balaeto, rettore di Benevento. Durante il regno di Roberto d'Angiò (1309-43) Orsara aveva un notevole sviluppo economico e sociale; infatti, nel 1335 ottenne dal re il privilegio di due fiere annuali in occasione delle festività patronati di S. Michele (8 maggio e 29 settembe. Vi furono anche le prime rivendicazioni dei contadini di Orsara contro i vescovi di Bovino e di Troia per il possesso dei territori e contro il feudatario Berardo di S. Giorgio per l'esercizio degli usi civici sul territorio di Montellere.
Morto il Fontanarosa, il re Roberto d'Angiò (1309-43) nominò Leonardo Fulcigno, che fu il primo rettore di Orsara di nomina regia. Lo stesso re, nel 1342 alla morte del Fulcigno, nominò il successore Lorenzo Pulderico. Quest'ultimo dovette affrontare le contestazioni di Ruggiero ed Enrico Frezza, che forse erano legati da vincolo di parentela come il cognome sembra indicare. Ruggiero Frezza, di cui si ha solo questa notizia assumeva di essere rettore di S. Angelo di Orsara e di S. Nicola Calatrava di Troia; non è indicato da chi avrebbe ricevuto la carica ed è presumibile che sia stata data dal vescovo. Comunque, quale rettore, nel 1344, denunciò al papa Clemente VI (1342-52) che gli ecclesiastici di Orsara, Castelluccio Valmaggiore e Ponte Albanito rifiutavano di rico­noscere la sua autorità e riconoscevano, invece, solo quella di Pulderico. Quest'ultimo, perciò, nel 1345 sarebbe stato destituito dalla regina Giovanna I e addirittura scomunicato dal papa. Enrico Frezza era vescovo di Troia. Le precarie condizioni economiche del suo vescovato gli die­dero l'occasione per sollevare le prime contestazio­ni contro il rettore di Orsara allo scopo di impossessarsi dei beni dell'abbazia. La prima pretesa del vescovo riguardò l'abbazia troiana di S. Nicola e il notevole patrimonio immobiliare costituito dalla Pezza S. Nicola. Il Frez­za riuscì ad ottenere dal papa Innocenzo III (1352-62) la nomina di un arbitro, designato nella perso­na dell'arcivescovo di Benevento, e questo, con un lodo del 18 febbraio 1354, assegna I' abbazia di S. Nicola al vescovo. Poco dopo, il Frezza ottenne un altro successo; con un provvedimento in data 22 dicembre 1354, la regina Giovanna I (1326-82) gli riconobbe la giurisdizione su Castelluccio Valmaggiore e Ponte Albanito, che vennero ad esse­re sottratti all'abbazia di Orsara.
Comunque, la Domus S. Angeli, anche se privata di questi possedimenti, conservava la sua autonomia; infatti, nel 1366, il Monasterium De Ursaria risultava ancora dipendere direttamente dalla S. Sede, cui pagava sempre il censo di un'oncia d'oro (43) e, nel 1376, la stessa regina Giovanna I ne nominò rettore Cesare Brancaccio. All'epoca del re Carlo III di Durazzo (1345-86), l'abbazia di Orsara, al pari di tanti altri benefici ecclesiastici, subì molte spoliazioni ad opera del conte di Vico; ma non perdette la sua autonomia che si trova riaffermata fino al XIX secolo. Perciò, non ha fondamento la notizia, riferita dagli storici troiani, che il Papa Innocenzo VII (1404-5) l'avrebbe unita al vescovato di Troia per compensarlo dei danni che anch'esso allora subì.
Durante il XV secolo, nel territorio di Orsara si verificarono importanti eventi storici. Nel 1416, la regina Giovanna II (1371-1435) concesse a Muzio Attendolo Sforza, gran connestabile (capo militare del regno), Orsara ed altre città fra le quali Benevento, Biccari e Troia. Nel 1424, alla morte di Muzio Attendolo, questi feudi passarono al figlio Francesco Sforza, che in seguito divenne duca di Milano.
Vari accenni ci informano della maggiore autonomia che, in questi anni, venne acquistando la popolazione e 1'amministrazione (università) che la rappresentava. Nel 1441. l'università di Orsara si accordò col Capitolo di S. Angelo, che rappresentava il clero locale, per il pagamento delle decime sui terreni abbaziali concessi ai contadini; 1'accordo non definì la questione, che si trascinò ancora per lungo tempo e fu regolata da una sentenza del 1593.
Fatti più importanti si verificarono nei pressi di Orsara durante la guerra (1435-42) tra il duca Renato d'Angiò e il re Alfonso I d'Aragona. Il 9 luglio del 1441 l'esercito aragonese si accampò presso Orsara; probabilmente la tenda reale fu posta nella località che ancora oggi è detta Piano della Corte, quattro chilometri a nord di Orsara. Da questo accampamento, il 10 luglio Alfonso I mosse l'esercito contro Troia, difesa dai soldati di Francesco Sforza; ma non riuscì a conquistarla. Il 15 luglio andò ad espugnare ed a saccheggiare Biccari, che riconquistata dagli Angioini qualche giorno dopo, fu ripresa dal re il 26 luglio. Vista l'impossibilita di conquistare Troia, difesa dagli Sforzeschi, 1128 luglio del 1441 il re si allontanò da Orsara per andare contro Napoli. E' tradizione, ed il fatto è abbastanza verosimile, che in questa circostanza Alfonso I si sia recato più volte a visitare Orsara ed a pregare nella grotta di S. Michele. Sconfitti gli Angioini e conquistato il trono di Napoli. Alfonso I d'Aragona concesse Orsara allo spagnolo Garcia Cavaniglia, dopo averla tolta a Francesco Sforza, che aveva parteggiato per gli Angioini. La concessione fu data prima del 1446.
Danni non molto gravi produsse ad Orsara il terremoto del 1456, che, in tutta l'Italia meridionale, cagionò oltre 50.000 morti.
Nella guerra, durata dal 1459 al 1462, tra re Ferdinando I d'Aragona e il duca Giovanni d'Angiò, Orsara parteggiò per gli Angioini e fu data in feudo a Giovanni Cossa. Nel giugno del 1461, il re assediò Orsara, ma, non riuscendo a conquistarla, se ne allontanò dopo pochi giorni. Il 12 agosto del 1462, dopo aver conquistato e saccheggiato Accadia, il re venne nuovamente ad Orsara e la cinse d'assedio con 50 compagnie di cavalieri e duemila fanti. Dopo tre giorni d'assedio, si venne a trattative e gli Orsaresi promisero di arrendersi se entro quattro giorni non fossero stati soccorsi dal loro feudatario. Saputo ciò, Giacomo Piccinino, che comandava l'esercito angioino, si mosse da Ascoli ed andò ad accamparsi presso Troia; un suo reparto, inviato a rafforzare la guarnigione di Orsara, fu intercettato dagli Aragonesi su Monte Maggiore, ma dovette ritirarsi con gravi perdite. Frattanto, il re si era accampato con l'esercito nella località Piano della Corte ed Ischia ove nel 1441 si era accampato suo padre Alfonso I. La battaglia, che decise le sorti della guerra avvenne tra Orsara e Troia. Verso la mezzanotte del 17 agosto 1462, gli Aragonesi iniziarono le manovre; Antonio Piccolomini, col suo reparto occupò la collina di Verditolo (altitudine 532 metri) il reparto di Roberto Orsini e Roberto Sanseverino puntò sul colle Sparaniello (altitudine 482 metri), ma qui si scontrò con gli Angioini che avevano già occupato la collina di Magliano (altitudine 569 metri). Il combattimento, molto aspro, durò alcune ore e, alla fine, gli Aragonesi riuscirono a ricacciare gli Angioini oltre il torrente Sannoro. All'alba del 18 agosto, i due eserciti erano già schierati ai lati del torrente Sannoro, ma esitavano ad attaccare perché il superamento delle sponde si presentava difficile. Quando il sole era già alto, Ferdinando I si lanciò all'attacco. Gli Angioini arretrarono lentamente; ma, dopo otto ore di combattimento furono costretti a chiudersi a Troia. La sera dello stesso giorno e senza attendere il termine della tregua, gli Orsaresi si presentarono al re ed offrirono la resa. Nella notte successiva, Giacomo Piccinino e Giovanni d'Angiò abbandonarono furtivamente Troia e lasciarono, a presidiarla, Giovanni Cossa con 80 soldati. Il 19 agosto vi fu calma; ma il giorno successivo i Troiani, istigati dal loro vescovo Giacomo Lombardi e visto che ogni ulteriore resistenza era ormai inutile, aprirono le porte della città e vi fecero entrare gli Aragonesi. Il 21 agosto del 1462 il re Ferdinando I d'Aragona tolse l'accampamento da Orsara.
Con la vittoria aragonese del 1462, Orsara rimase definitivamente in possesso dei Cavaniglia, che conservarono anche dopo il trattato di Granada (1500) che segnò la fine della Monarchia Aragonese; infatti, con un diploma del 10 maggio 1510, Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, ne confermò il possesso a Troiano Cavaniglia. Quest' ultimo, con atto in data 29 dicembre del 1524 stipulato dal notano Gregorio Russo di Napoli, vendette, per sedicimila ducati cum pacto redimendi, Orsara ed i feudi disabitati di Montellere e Monte Preise a Giovanni I Guevara, figlio di Guevaro Guevara, cadetto di una nobile famiglia spagnola venuto alla corte di Alfonso I d'Aragona. I Guevara furono feudatari del paese fino al 1806, quando fu abolito il sistema feudale.
Non si hanno notizie di Orsara con riferimento all'invasione dei Francesi, che, guidati da Lautrech, nel 1528 espugnarono e saccheggiarono Foggia e Troia; e neppure con riferimento alle persecuzioni contro i Valdesi (1561-63), che, per l'attiva propaganda dei barba Jean Louis Pascal e Stefano Negrino, avevano fatto molti proseliti a Celle S. Vito, Faeto, Montaguto, Monteleone, Motta Montecorvino e Volturara.
Il 16 settembre 1602 in località Ischia-Verditolo del territorio di Orsara, i notai Giovanni Muccigno ed Ovidio De Paulis redassero una transazione tra il feudatario Inigo Guevara, rappresentato dal suo amministratore Marcello Pisano e dall'erario (esattore) di Orsara, e il capitolo della chiesa orsarese, rappresentato dall'arciprete Giacomo Catania. Nell'atto si chiarisce che, trent'anni prima, Pietro Guevara (potrebbe essere Pietro Paolo, secondogenito di Giovanni I) aveva ricevuto in fitto alcuni terreni (non specificati) del Capitolo. Inigo, cui ne era venuto in possesso, non pagava l'estaglio e ne contestava addirittura la proprietà dell'ente; ma, dopo aver consultato i legali, si obbligò a pagare l'estaglio o a restituirli.
Il terremoto del 30 luglio 1627 fece danni e vittime nella zona di S. Severo e nei paesi del pre¬appennino dauno-irpino, in questa circostanza, ad Ariano, si distinse, per 1'aiuto prestato alla popolazione, il francescano orsarese Simone. Ad Orsara vi furono pochi danni e nessuna vittima. Il parroco dell'epoca, alla data del 12 dicembre 1631 riferisce: Magnum Vesuvii incendium cuius ego d.Hercules, archipresbyter Neapoli oculi curatione detentus, infelictssimus spectator fui, quasi totam Europam cineribus contexit.; (Eruzione del Vesuvio che copri di cenere quasi tutta l'Europa; io arciprete Ercole Nola vi assistetti mentre era a Napoli per curarmi 1'occhio).
Agli inizi del XVII secolo, era feudatario di Orsara Giovanni III Guevara, duca di Bovino. Gli succedette il primogenito Carlo Antonio, che, non potendo pagare al fratello Francesco un legato testamentario di 40.000 ducati, nel 1649 gli cedette Orsara ed altri feudi vicini. A Francesco Guevara si riferisce un'epigrafe esistente sul frontone della Fontana Nuova; vi si legge: D. FRAN(ciscus) GUEV(a)RA BO(n)CO(m)PAG(nus) DUCIS BIBINI FIL(ius)UTILIS DOM(INUS) URS(ari)AE IVCFO (?) E(t) INSBLEDIOR (?) CULT(um) SUB(di)T(i)B(us) SUIS ERGIV(it) AN(no) 1663.
Anche se vi sono delle parole che non si riescono ad interpretare, il senso e chiaro; si ricorda che la madre apparteneva alla famiglia Boncompagni del ducato di Sora.
Un'altra epigrafe esistente nella stessa fontana, ne ricorda il primo impianto avvenuto nel 1547 (URSARIENSES HUNC PERENNIS AQUAE FONTEM GUEVARAE IUSSU STATUERUNT MCCCCCXXXXVII - Gli Orsaresi per ordine del Guevara costruirono questa fontana di acqua perenne nel 1547). E' rimasto solo il ricordo di una Fontana Vecchia posta sull'odierna via Trento; si riteneva costruita prima dell'anno mille e fu fatta demolire dal commissario A. Garofalo verso.
Francesco Guevara fu il primo e forse l'unico feudatario che risiedette quasi stabilmente ad Orsara; era un ecclesiastico che aveva ricevuto gli ordini sacri il 9 luglio 1639 dal vescovo Calderisi di Bovino; nei registri parrocchiali di Orsara si ha solo un atto di battesimo da lui redatto il 31 gennaio 1650. Con un atto del 16 settembre 1662, dal notaio Giovanni Muccigno, acquistò il palazzo dei Calatrava, che destinò a sua dimora. Molto probabilmente, a lui furono dovute le più radicali menomazioni alla chiesa abbaziale perché vi fece costruire la loggetta per comunicare col suo palazzo e, conseguentemente, dovette spostare l'altare al lato opposto. Formalmente il palazzo Calatrava fu ceduto al Guevara dal clero di Orsara, che ne ebbe in permuta 55 versure di terreno in località Laura (ora Montagna). Ricordando che il terreno e il palazzo, in origine, appartenevano all'abbazia. È presumibile che questa vendita mascherò una spoliazione, alla quale concorsero gli interessi di tutte le parti che intervennero all'accordo; infatti, il feudatario ebbe una dimora adeguata senza dare praticamente alcun corrispettivo; il clero ebbe la libera disponibilità del terreno abbaziale e poté dividerlo tra i suoi componenti; infine, il vescovo di Troia, che approvò l'accordo, addolcì le rivendicazioni degli Orsaresi per gli altri beni ecclesiastici in suo possesso. Alla fine del XVII secolo, morto Francesco Guevara, Orsara tornò sotto il dominio feudale del duca di Bovino.
Dal primo settembre del 1700 fino alla morte avvenuta il 15 novembre 1748, fu duca di Bovino Inigo Il Guevara. Costui era feudatario e possessore del vasto territorio tra Bovino, Castelluccio dei Sauri, Montaguto, Orsara, Panni e Troia. Questo territorio, in massima parte boschivo, era destinato alla caccia; perciò, aveva preso il nome di Caccia dei Guevara ed aveva come centro, non per posizione ma per importanza, la Torre della Caccia, che era già riportata in una carta geografica dei musei Vaticani compilata alla fine del XVI secolo. In seguito l'edificio assunse il nome di Torre Guevara; Inigo II lo fece ristrutturare e vi fece apporre all'ingresso un'epigrafe per tramandare che Inigo Guevara, duca di Bovino, fedelissimo e riconoscente, fece la costruzione nel 1736 dedicandola a Carlo il Borbone, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme, affinché, quale ospite graditissimo, rendesse più nobili i rustici passatempi dei duchi bovinesi con la presenza, la compagnia e la caccia (CAROLO BORBONIO NEAPOLIS SICILIAE HIERUSALEM REGI ET C(etera) PIO FELICI INVICTO AUGUSTO QUOD RURALES BOVINENSIUM DUCUM DELICIAS PRAESENTIA COMITATE VENUTU HOSPES MAXIMUS FECERIT NOBILIORES INNICUS DE GUEVARA BOVINI DUX D(evotus) N(umini) M(ai estati) Q(uae) E(jus) NE BENEFICI AMPLISSIMI MEMORIA UNQUAM INTERCIDAT P(oni) C(uravit) ANNO MDCCXXXVI). In effetti il re Carlo III di Borbone che aveva un attaccamento quasi maniacale per la caccia, e il suo successore Ferdinando I soggiornarono molto spesso in questo edificio ospiti dei duchi di Bovino. La destinazione a caccia di questo vastissimo territorio, riduceva le già scarse fonti di reddito delle popolazioni. Ad Orsara e nei paesi vicini le possibilità di reddito erano legate, esclusivamente, alla coltivazione dei terreni, peraltro, erano di scarsa produttività ed anche insufficienti come estensione. In conseguenza la popolazione si era stratificata in due classi: i possidenti o galantuomini ed i bracciali. I primi gestivano i terreni, in minima parte come proprietari; in maggiore misura, come coloni dei baroni o della Chiesa o anche come amministratori dei comuni; essi, inoltre, avevano un livello culturale più elevato che li portava ad essere meno legati ai pregiudizi e più aperti al nuovo in politica. I bracciali nullatenenti, erano legati alle tradizioni e, quindi alla Chiesa o, piuttosto, alla religione ed anche alla monarchia borbonica. Nella società locale così configurata, il contrasto era solo tra i bracciali ed i possidenti; questo stato di cose, ormai anacronistico rispetto alle nuove concezioni ed aspirazioni, caratterizzò le lotte politiche ed agrarie del XIX. Ad Orsara le prime contestazioni furono portate davanti ai giudici e riguardarono la tenuta di Cervellino, la cui estensione trovasi indicata in 57 carra e 13 versure (circa 1700 ettari) sulla quale potevano pascolare 456 bovine, 30 equini, 343 ovini e 336 maiali. Nel XV secolo, l'università di Orsara concesse al re Ferdinando I d'Aragona il territorio di Cervellino per destinarlo al pascolo delle regie razze di cavalli. Però all'atto della concessione, il Comune fece espressa riserva degli usi civici, il cui esercizio fu ristretto a certi periodi dell'anno, come è riconosciuto in un decreto dato nel 1579 dalla R. Camera della Sommaria. La zona fu costituita in difesa (ancora oggi è il nome proprio di una parte del territorio). Nel 1693, dimesso l'allevamento dei cavalli, il Fisco vendette Cervellino a Francesco Veneri. Nel 1759, quando iniziarono le contestazioni degli orsaresi, il territorio era di proprietà della duchessa Alvito e tenuto in fitto da Ferdinando Poppa; quest'ultimo pretendeva, come canone annuo per il pascolo (fida), 24 carlini per ogni bovino e 20 per equino. La contestazione degli Orsaresi finì davanti alla R. Camera della Sommaria e questa, con sentenza del 9 luglio 1763, stabilì che gli Orsaresi dovevano pagare una fida di 6 carlini, soltanto per ciascun animale di grossa taglia che pascolava su quel territorio. In seguito Cervellino "divenne proprietà del duca Rospigliosi Pallavicino, poi, di Gaetano Varo e, infine, fu acquistato dal Comune di Orsara con l'atto stipulato l'11 ottobre 1782 dal notaio Raffaele Avossa.
Ad Orsara le lotte violente per la questione agraria iniziarono alla fine del XVIII secolo. I primi moti si ebbero nel 1797 e poi nel 1799 quando i bracciali, approfittando dei rivolgimenti politici che rendevano deboli le autorità costituite, occuparono e dissodarono i boschi Montagna e Lama Bianca; cercarono anche di dissodare Montemaggiore, difesa chiusa destinata da molto tempo a pascolo dei buoi aratori. In queste occasioni, non vi fu alcuna reazione da parte delle autorità; ma nel 1802, quando l'occupazione si ripeté per Montemaggiore e Pannolino, fu inviato ad Orsara il giudice Gelormino della R. Udienza di Lucera. Costui, con l'intervento del soldati, fece cessare le l' occupazione e ristabilì l'ordine. Negli anni successivi le contestazioni imboccarono vie legali. In questi anni, sullo sfondo della Rivoluzione Francese, anche l'Italia meridionale fu scossa da profondi sconvolgimenti politici e sociali. Ferdinando I Borbone fuggì in Sicilia il 21 dicembre 1798 all'avvicinarsi dell'esercito francese del generale Championnet; quest'ultimo entrò in Napoli il 23 gennaio 1799. Proclamata la Repubblica Partenopea, i nuovi governanti inviarono nelle province i democratizzatori col compito di nominare gli amministratori locali, innalzare l'albero della libertà e confiscare i beni ecclesiastici. L'odio verso i galantuomini (in massima parte favorevoli al nuovo governo), il fanatismo religioso e l'ostilità contro gli stranieri Francesi provocarono, subito dopo, rivolte popolari con saccheggi e violenze atroci contro i repubblicani. Ad Orsara, fu eretto l'albero della libertà infiggendo un grosso ramo nella pietra tonda (è una pietra cilindrica, appositamente costruita; ha diametro 54 centimetri ed altezza 68 con un grosso buco al centro; attualmente e incastrata in un angolo della Chiesa parrocchiale). Alla data del 13 febbraio1799, trovo annotato "Francesco Pinto di anni 28 è morto ucciso nella pubblica piazza di questa terra di Orsara"; ma non è precisato se, come sembra, il motivo fu politico. Il 23 febbraio 1799, tre colonne di soldati francesi, percorrendo la via della valle del Cervaro e la via Trajana, giunsero a Foggia e perseguirono i responsabili della ribellione, fucilandone alcuni; Troia evitò il saccheggio e la fucilazione dei ribelli pagando un riscatto di tremila ducati. Ad Orsara fu costituita la truppa civica agli ordini del sottotenente Giuseppe Borrelli. In Capitanata la repubblica durò meno di tre mesi; il 21 aprile i Francesi abbandonarono Foggia e il 24 maggio vi entro l'esercito borbonico del cardinale Fabrizio Ruffo e del generale Antonio Micheroux. Allontanatisi i Francesi e ristabilita a Napoli la monarchia borbonica, Ferdinando I cercò di ingraziarsi le popolazioni limitando i diritti dei feudatari sui beni delle collettività. Il sistema feudale aveva attribuito ai feudatari ogni potestà e, quindi, anche I' amministrazione dei beni pubblici. Gli immobili potevano essere dei privati (allodi), dei baroni (burgensatica) e dei Comuni (demani) ("Dicuntur demania... civitates, castra et bona alia...retenta per antiquos reges in potestate et dominio suo non donata et concessa aliis").
Il concetto di demanio come proprietà territoriale dei Comuni fu sancito dagli artt. 176 e 182 della legge 12/12/1816.
Gli usi civici già in epoca romana venivano ritenuti una derivazione del primitivo uso comune del territorio (compascua) e quindi, originate in epoca preistorica con la formazione delle prime comunità. Conservati dal sistema feudale, furono riconosciuti anche dall'art. 15 della legge 2 agosto 1806 che abolì il feudalesimo e sono ancora tutelati dalla legislazione italiana vigente. Consistono nel diritto degli abitanti di utilizzare un territorio facendovi pascolare animali oppure raccogliendo legna o altri frutti naturali. Nella pratica l'accertamento degli usi civici e della demanialità era estremamente difficoltoso sia perché mancavano, salvo casi rarissimi, prove documentali e sia perché le situazioni di fatto derivavano da consuetudini, leggi ed abusi, i cui effetti si erano accumulati per secoli. In conseguenza si ebbero contestazioni senza fine tra gli ex baroni e le popolazioni (come cittadini e come enti pubblici). Queste contestazioni si tradussero, sotto l'aspetto legale, in cause interminabili e, sotto l'aspetto pratico, in sommosse e violenze. In questo periodo anche Orsara iniziò l'azione legale contro il feudatario per rivendicare gli usi civici sul territorio di Ripalonga. Ripalonga comprendeva anche le località denominate Ischia del Governatore, Lama Bianca Piano Perazze; l'estensione complessiva era di circa mille ettari (oggi la zona è riportata nei fogli catastali da 1 a 8 e nel foglio 42). Il feudo fu acquistato dai Guevara nel 1596. Nel 1763, il duca Giovanni Maria Guevara lo concesse ai massari (pastori) di Orsara per il canone annuo di 372 tomoli (circa 161 quintali) di grano. Il 28 marzo 1803 il Comune di Orsara, difeso dall'avvocato Giuseppe Casoria, iniziò davanti la R. Camera della Sommaria l'azione legale per Ripalonga contro il duca Carlo Guevara, difeso dall'avvocato Pietro Porcelli. Con la successiva allegazione difensiva del 3 luglio 1803, contestò anche il diritto di esigere i balzelli feudali (portulania, bagliva, focaggio, cippone, bottega lorda). La lite fu definita per i buoni uffici del canonico Michele La Monica con una "convenzione... approvata da tutta l'intera cittadinanza di Orsara". Questa convenzione, ratificata dalla R. Camera Sommaria con decreto 14/11/1803, fu trasfusa nella transazioni redatta a Napoli il 22 febbraio 1804 dal notaio Ferdinando Caristo; in quest'atto si stabilì che il duca:
1) rilasciava al Comune di Orsara le "difese" Acquara, Ischia del Governatore e Monte Preise;
2) dava in enfiteusi al Comune per il canone annuo di 372 tomoli di grano (precedentemente pagato dai massari)i territori di Ripalonga, Piano Perazzi e Lama Bianca;
3) riconosceva come demaniali Montemaggiore e Montagna. Per contro il Comune di Orsara riconosceva al duca la proprietà del territorio detto di Pescorognone (oggi in catasto ai fogli 41 e 42) e faceva "altre piccole concessioni". La questione fu risolta anche politicamente quando il 3 dicembre 1804 la R. Camera della Sommaria accolse l'istanza presentata da Ignazio Tancredi per il Comune di Orsara ed autorizzò la concessione ai privati dei territori delle località Acquara e Ischia del Governatore. Nel febbraio 1806, mentre l'esercito francese del generale Massena entrava nuovamente nel Regno di Napoli, Ferdinando I Borbone tornò in Sicilia. Il trono fu dato prima a Giuseppe Bonaparte, che giunse a Napoli l'11 maggio 1806, e, poi, dal settembre 1808, a Giacomo Murat. Uno dei primi provvedimenti del nuovo regime fu la legge 2 agosto 1806 che abolì il sistema feudale. Il successivo decreto 11 novembre 1807 istituì la Commissione Feudale per decidere tutte le controversie tra i feudatari ed i Comuni. Per la definizione dei processi fu posto il termine del 31 dicembre 1808 poi prorogato al 31 agosto 181. Nell'ottobre del 1809, l'avvocato Casoria (costui morì poco dopo e fu sostituito dall'avvocato Clemente Gaito), per il Comune di Orsara, riprese l'azione legale per la rivendica di altre terre demaniali contro il duca Guevara, sempre difeso dall'avvocato Porcelli. Dopo le decisioni interlocutorie del 31 ottobre 1809 e del 23 marzo 1810, si ebbe la sentenza del 31 agosto 1810 che stabili:
1) Pescorognone e Magliano appartenevano ai Guevara;
2) gli Orsaresi avevano il diritto di affrancare i fondi delle predette contrade che coltivavano da almeno dieci anni;
3) i terreni demaniali di Orsara erano liberi da terraggi, censi e di ogni prestazione feudale perchè non esisteva ad Orsara feudalità universale';
4) in forza di un accordo intervenuto nel 1529 il comune di Orsara e il conte Cavaniglia (o Giovanni I Guevara), Monte Preise apparteneva al Comune di Orsara; questo, però, doveva pagare al duca il censo annuo di 55 ducati.
Tra il 1810 e il 1812, le cavallette distrussero i raccolti; per combatterle le autorità davano un premio di 8 grana per ogni misura di uova degli insetti che venivano consegnati per la distruzione. Il frumento arrivò a costare sei ducati per tomolo e, nel 1815 quando la carestia fu ancora più grave, dieci ducati.
Nel 1815 al seguito dell'esercito austriaco, tornò al trono di Napoli Ferdinando I Borbone e dette mano alla Restaurazione, i cui eccessi rafforzarono, gli oppositori, già organizzati in sette segrete, fino a spingere ai moti rivoluzionari del 1820. Verso la fine del 1818 ad Orsara, vi fu un altro scoppio di violenze per la questione agraria; i "brac­ciali...si sfrenarono" occupando, dividendo e dis­sodando i boschi nelle località Riconi di Cervellino e Mezzanelle di Crepacore. Intervennero i soldati, al comando del capitano Savino, e fecero cessare le occupazioni. In questa occasione, si distinsero Michele Natale e Nicola Perrone, che si ritroveran­no trent'anni dopo in situazioni analoghe; ciò sta ad indicare che la questione si evolveva molto lentamente e vi erano resistenze fortissime. Comunque, la preoccupazione di evitare altre sommosse indusse il sotto intendente di Bovino a fare pressioni sul Decurionato (consiglio comunale) di Orsara per una soluzione; infatti, il 26 ottobre 1819, fu costituita una commissione composta da Francesco Di Michele, Giuseppe Iatarola e dall'agrimensore Gaetano Amicangelo di Montaguto col compito di ripartire 556 versure di terreno di Ripalonga. L'attività di questa commissione fu interrotta dai moti rivoluzionari iniziati nel regno di Napoli il 2 luglio 1820 dagli ufficiali Salvati e Morelli.
In questa occasione, fu costituita la Repubblica Federativa della Daunia, alla quale, invitati, aderirono tutti i comuni di Capitanata ad eccezione di Orsara e Montaguto. E' difficile individua­re le cause della mancata adesione; si può pensare che la decisione fu presa dai possidenti, che controllavano l'amministrazione comunale e temeva­no che i rivolgimenti politici potessero pregiudicare i loro interessi. Però, anche ad Orsara, i rivoluzionari avevano adepti in tutte le classi sociali; infatti, venivano sorvegliati come carbonari i possidenti Domenico e Pasquale De Gregorio, Benedetto De Paolis, Tommaso Gambatesa, Severino La Monaca, Pientrantonio Spontarelli; i preti Giovanni Ferrara e Carlo Ricci; il medico Carmelo Di Stefano; il fabbro Angelo Guerriero; il calzolaio Gaetano Languzzi e il falegname Geremia Schiavino. Era anche molto forte la setta segreta dei Calderari di tendenza conservatrice e filo-borbonica. Vi erano, quindi, forti tensioni sociali e, in conseguenza, le lotte politiche erano aspre. Sedata la rivoluzione del 1820, si scatenò la repressione, che ebbe come strumento legale il decreto del 7 maggio 1821; era prevista la pena di morte a chi costituiva una setta segreta e l'esilio a chi ne faceva propaganda. Ristabilita la normalità, ad Orsara si riprese l'at­tività amministrativa per la ripartizione delle terre. Intervenne nuovamente il commissario Zurlo e, con un atto del 5 marzo 1822, divise il territorio di Cre­pacore (2230 ettari) ripartendolo tra Orsara (circa mille ettari), Greci, Celle San Vito e Faeto. Questa spartizione non apportò alcun beneficio alle popolazioni perché pose solo fine ad una controversia iniziata alla fine del XIII secolo fra i Comuni; i terreni, invece, appartenevano al duca di Serracapriola, Nicola Maresca (1789-1870), alla cui famiglia erano pervenuti verso la metà del XVIII secolo. La ripartizione dello Zurlo, però, dette ai Comuni interessati la possibilità di iniziare nel 1822, l'azione per la rivendica della demanialità contro il Maresca. Il 22 novembre 1825 la Gran Corte dei Conti autorizzò i Comuni a proseguire l'azione e l'8 agosto 1830 vi fu un accordo parziale in base al quale il Maresca restituì parte del territorio. La causa si trascinò fino alla fine del XIX secolo ed ebbe una definizione sfavorevole per i Comuni. Intanto, ad Orsara, la ripartizione delle terre si era impantanata tra cavilli burocratici e cabale dei decurioni (consiglieri comunali); questi avevano trovato, nelle leggi per la tutela dei boschi (art. 180 legge 12/12/1816 e legge 21/8/1825), nuovi argomenti per opporsi alla quotizzazione.
Il 28 agosto 1824, il principe ereditario, Francesco I Borbone, era in vista ufficiale a Foggia; gli Or­saresi gli inviarono una delegazione per perorare la causa della ripartizione ed ottennero più frequenti solleciti all'autorità locale da parte dell'Intendente di Foggia. Cosicché, entro lo stesso anno, fu rifatto il progetto di ripartizione con 952 quote per complessivi 3209 tomoli; il canone era di 6 carlini a quota. Poi, le quote divennero 962 per 3537 tomoli ed, infine nel 1826, le quote furono ridotte a 748 e furono divise in tre classi in rapporto alla fertilità: la prima di tre tomoli, la seconda di quattro e la terza di sei; il canone unico era di 30 carlini. Ciò non ostante, non vi furono assegnazioni. Il Decurionato si oppose sempre alla ri­partizione richiamando le leggi a tutela dei boschi e facendo proprie le ragioni dei possidenti e cioè che gli Orsaresi rifiutavano le assegnazioni perché non volevano pagare canoni ne volevano terre da dissodare, tanto che avevano lasciato in abbandono quelle già assegnate; volevano invece, le terre che gli altri avevano già dissodato e migliorato. Dall'altra parte si rispondeva che i possidenti si erano appropriati dei migliori terreni, per i quali pagavano canoni irrisori; inoltre, non volevano altre assegnazioni o facevano assegnare solo terre inadatte alla coltivazione perché ciò gli consentiva di subaffittare i loro terreni a prezzi esosi e di reperire mano d'opera a basso prezzo.
In questi anni la questione agraria sembra passata in secondo piano; in effetti si era fatta strada l'idea che, per vincere le opposizioni locali alla ripartizione, occorreva ricorrere direttamente re. Ciò porta a configurare una situazione politica con la classe dei bracciali di tendenza filo-borbonica e, quindi, conservatrice per la politica generale e rivoluzionaria per quella locale. La classe contrapposta dei possidenti era di tendenza antiborbonica, ma conservatrice per le questioni locali. D'altra parte, è risaputo che, durante le lotte per il Risorgimento, non solo ad Orsara, le fazioni popolari erano filo-borboniche. Per ricorrere al re, ci si rivolse all'avvocato Edoardo Forgione; ma, avendo costui chiesto un compenso di 300 ducati, si rifiutò la sua assistenza. Frattanto, si ebbe un'occasione che sembrò particolarmente favorevole, l'orsarese Gaetano Zullo, nel 1843 durante il servizio militare a Napoli era riuscito a fare amicizia con tale Antonio Manzi stalliere del re. Tornato ad Orsara prospettò ai concittadini la possibilità di avvalersi del Manzi per avvicinare il re; perciò fu incaricato di recarsi a Napoli. Quivi, si fece redigere una petizione da uno scrivano di via S. Carlo. Tornato ad Orsara, riferì che il Manzi lo aveva presentato al re, nella villa reale di Castellammare di Stabia; aveva così consegnato l'istanza direttamente nelle mani del re e ne aveva ottenuto promesse di interessamento. Passarono alcuni mesi senza alcun risultato, perciò, Gaetano Zullo, della cui credibilità si cominciava a dubitare, prese una nuova iniziativa insieme ad altri, il 30 settembre 1844, si recò a Foggia dall'Intendente, che non volle riceverlo, e il 3 gennaio 1845, si recò dal sotto intendente a Bovino. Chiedeva una carta di viaggio per recarsi dal re a Napoli e presentargli una nuova istanza per la ripartizione delle terre. Il permesso fu negato; la sera dello stesso 3 gennaio, una cinquantina di persone si riunirono nella casa di Antonio Fatibene e decisero di partire per Napoli la mattina del 6 gennaio. La mattina del giorno fissato, più di cento "villani" si riunirono nella chiesa della Madonna della Neve.

 

GONFALONE

 

Blasonatura: di azzurro, all'orso posto a sinistra, accompagnato dal suo cucciolo, affrontato, entrambi di nero, ritti e con la zampa sinistra alzata, sostenuti dalla pianura d'oro, il tutto addestrato dalla quercia di verde, fustata al naturale, nodrita nella pianura.

 

 

 

MONUMENTI

 

La Cinta Muraria

Il paese, che molto probabilmente risale ad epoca assai remota, fu fondato su un pianoro circondato da tre torrenti che ne costituivano la difesa naturale contro gli assalti dei nemici.
Ad est scorre il Canale Catella, proprio a poca distanza dalla cinta muraria, che ancora si erge con le sue maestose torri, ad ovest scorre il Canale Botte e a Nord il torrente Canale della Grotta, nel quale i primi due confluiscono chiudendo la magnifica difesa naturale con un notevole dirupo.
A sud le mura di cinta e il terreno scosceso chiudevano l'abitato come una sorta di castello. I resti delle mura, così come li possiamo ammirare, sono indubbiamente dell'alto medioevo.
Di esse, però, abbiamo notizie antecedenti in vari scritti. Secondo una leggenda, comune a quasi tutti i centri della Daunia, Orsara sarebbe stata fondata da Diomede durante le sue guerre contro gli elementi indigeni. Egli vi costruì il castello fortificato per tenervi i suoi depositi e farvi soggiornare i compagni che avevano bisogno di curare le ferite riportate in guerra. Secondo l'Avv. Cotugno durante la guerra punica, e precisamente nel periodo in cui Annibale si accampò su monte Calvello, i consoli romani T. Marrone e L.P. Emilio posero un presidio avanzato in Orsara e per rafforzarne le difese costruirono le torri e la cinta muraria. Probabilmente su vecchie fortificazioni fecero erigere delle difese per avere a disposizione luoghi fortificati entro cui rifugiarsi in caso di pericolo.
Lo stesso T. Livio d'altronde afferma che"... Fabius per loca alta agmen ducebat modico ab hoste intervallo, ut neque omitteret eum neque congrederetur. Castris nisi quantum usus necessarii cogerent, tenebatur miles..." prima che"...ex hirpinis in Samnium Transisse (transit) ...". Pare logico quindi supporre che la catena di fortificazioni servisse ad isolare il nemico ma anche per avere un rifugio sicuro contro eventuali attacchi nemici.
Entro le mura si sviluppò una piccola comunità che accolse anche parte delle popolazioni dei vicini Casali. D. Domenico Rosati, Vicario Capitolare di Troia, nello scrivere gli" STATUTI o CAPITOLARI DEL CLERO DI ORSARA" scrisse nella prefazione la storia del paese. Egli ritiene antichissima la chiesa di Orsara, edificata al tempo delle guerre civili (VII sec. d.C.): "...Orsara fu costretta a forma di castello, ristretta e murata, con bellissime torri, cinta e ciò perché fu rifugio e scampo di soldati, un sicuro asilo di piazza d'armi e fu costruito un grande ospedale dove si portavano i soldati invalidi...".
Una riprova che il paese fosse stato cinto da mura già da tempi remoti si ha anche dalla denominazione di "Castrum Ursariae".
Il Prof, Michele Cappiello nel suo libro "Appunti per una Cronistoria di Orsara" curato e pubblicato postumo dalla Preside Prof.ssa Ileana Cappiello, afferma che gli Orsaresi presero per loro protettore S. Michele e gli dedicarono lo Speco, esistente extra moenia : chiama il nostro paese Castello
Lo stesso Lorenzo Giustiniani fa risalire la chiesa di Orsara ai primi tempi del Cristianesimo. Le torri sarebbero poi state fortificate dai Longobardi per farne un baluardo contro i Bizantini. Quando l'imperatore d'oriente Costante II distrusse Troia nel 663 una parte dei suoi abitatisi rifugiò fra le mura di Orsara. La cinta muraria aveva bellissime torri a base rettangolare e intorno vi erano degli affossamenti che rendevano inaccessibile il paese. Il Del Giudice, nel parlare dello scontro tra Greci e Normanni, avvenuto nel 1016 afferma che "...le mosse dei Longobardi (alleati dei Normanni), fortificati in Orsara, furono per la così detta via denominata Guardiola...".
HIC REQUIE/SCIT ABB(A)S SYC(H)ILP(E)TRI
SECUBDUS
REQUIESCAT IN PACE AM(EN)
EPIGRAFE ESISTENTE ALLA BASE DELL'ABAZIA, ADIACENTE AL PALAZZO BARONALE
Un altro riferimento alla cinta fortificata lo si ritrova nel 1100, quando fu edificata la Chiesa della Madonna della Neve extra moenia vicino al canale Catella che lambiva quasi le torri. Anche nel 1320, quando i casali di Ripalonga e Crepacore furono abbattuti e incendiati, c'è un sicuro accenno alla fortificazione allorché ai suoi abitanti fu ordinato di radunarsi fra le mura di Orsara (14 bis Jannacchino). E' nel 15462, però, che questo possente baluardo assolve ad un impegno decisivo per l'Università di Orsara. Il 16 agosto dello stesso anno "... le milizie aragonesi si erano dirette verso Orsara, spostando tutto l'apparato bellico (comprensibile solo con una valida fortificazione), nella speranza d'indurre il duca G. D'Angiò e il Piccinino a battaglia campale con l'assedio della nostra città, loro amica, e insieme per non lasciarsi nemici alle spalle, gli Orsaresi vennero a patti a queste condizioni:...si sarebbero arresi8,e quindi avrebbero aperto le porte, se nel giro di quattro giorni non fossero giunti i soccorsi da parte angioina".
Il 5/10/1712 all'esterno di una delle porte cittadine avvenne un terribile fatto di sangue:"Il prete Dionigio Spadaio fu ucciso fuori porta S. Pietro con un colpo di pistola".
Ma da quante porte si poteva accedere nel paese?
Le fonti storiche e quelle fotografiche ci dicono che ne erano quattro.
Porta S. Pietro
Porta S. Giovanni (poi S. Domenico)
Porta di Greci (o porta Aecana?)
Porta Nuova
La prima si apriva là dove comincia Corso della Vittoria , la seconda (scomparsa all'inizio del secolo scorso) all'inizio di via S. Rocco attaccata alla chiesa di S. Giovanni Battista, la terza , tuttora esistente, alla confluenza di Via Serg. G. Volpe con via Trento e la quarta ubicata in via Napoli,(l'attuale strada di collegamento tra via C. Alberto e via Indipendenza, proprio laddove nel XVII secolo vi era l'abitazione della famiglia Scalzi). A queste probabilmente bisogna aggiungerne un'altra e che la tradizione ci ha conservato come "Portella delle Monache", che quasi certamente si apriva di fronte alla chiesa della Madonna della Neve.
Nel 1788 l'Amministrazione Comunale paga le spese per "...la sterratura della Porta di S. Pietro e relativo mondezzaio". E' il segno evidente di un notevole abbandono e degrado della cinta muraria in alcuni punti. Poco più tardi, nel 1793(1723?), una lapide, posta sull'architrave di un'abitazione di Via Mentana ricorda ai cittadini"...In esecuzione dei reali Ordini non permesso sia a persona alcuna di buttare l'immondizia vicino alle case dell'abitato di Orsara se non in distanza di passi 5001(?) trenta ducati per cont. Ed altre A.D. 1793(1723?)".
Era un evidente segno dell'abbandono in cui versava il paese tutto ed in particolare il prezioso patrimonio delle mura troppe volte sottoposto a scempi e ridotto a ricettacolo d'immondizie.
Nonostante tutto, però, nel 1830, il 10 settembre, il Sindaco di Orsara afferma che dell'antico nucleo militare del paese esistevano le mura e parte delle torri con fossati che rendevano in passato il luogo inaccessibile alle invasioni esterne. Il problema delle mura dovette trovare dei validi difensori se nel 1862 l'Amministrazione Comunale decise d'intervenire per restaurarle. L'incarico venne affidato al Perito Calabrese e i lavori all'appaltatore Silvestro Marino per la somma di Lire 397,17.
Ormai il paese aveva cominciato ad estendersi al di là del perimetro difensivo e lo sviluppo caotico e dissennato finì col produrre danni irreparabili: alcune torri furono inglobate nelle abitazioni. Leggendo l'art. 13 del Capo Quinto del REGOLAMENTO EDILIZIO del 1873 possiamo farci un'idea precisa della situazione del paese e del complesso delle mura in particolare. E' pregio del Regolamento, infatti, descrivere il PERIMETRO del paese: "Il perimetro del Comune è determinato a Settentrione da una cinta di mura che, partendo dall'antico Largo del Castello, si estende e si congiunge fino alla facciata esterna e settentrionale del Conservatorio. Di là è delimitato da una continuazione di casamenti che guarda Ponente, siti nella collina che s'innalza al di sopra del sottoposto Torrente, e che prende il nome di Grotta di S. Michele, e, prolungando più in basso, di Granauro e, più in là a Mezzogiorno, di Fontana Vecchia ed indi, ascendendo la collina sovrastante, di Borgo Tufara, e, più in sopra, della niviera e verso oriente si estende nella strada S. Maria delle Nevi, nella sovrapposta strada delle Fontanelle. La detta strada di S. Maria delle Nevi, deviando verso settentrione, si congiunge colle vecchie mura di cinta del Largo Castello".
"Il perimetro del Comune è determinato a Settentrione da una cinta di mura che, partendo dall'antico Largo del Castello, si estende e si congiunge fino alla facciata esterna e settentrionale del Conservatorio. Di là è delimitato da una continuazione di casamenti che guarda Ponente, siti nella collina che s'innalza al di sopra del sottoposto Torrente, e che prende il nome di Grotta di S. Michele, e, prolungando più in basso, di Granauro e, più in là a Mezzogiorno, di Fontana Vecchia ed indi, ascendendo la collina sovrastante, di Borgo Tufara, e, più in sopra, della niviera e verso oriente si estende nella strada S. Maria delle Nevi, nella sovrapposta strada delle Fontanelle. La detta strada di S. Maria delle Nevi, deviando verso settentrione, si congiunge colle vecchie mura di cinta del Largo Castello".
Siamo, si può dire, all'epilogo. Il paese stava estendendosi e delle mura non si ha preoccupazione alcuna di preservarle. Da questo momento il paese non avrà che un solo lato con le mura ancora visibili. In una foto degli inizi del 1900 da S. Rocco si vedono ancora cinque torrioni e la cinta muraria in buono stato di conservazione.
Ultimamente, ed esattamente nel 1992, il PIANO DI RECUPERO DEL CENTRO STORICO dell'Ing. Mario Narducci ha evidenziato, tra l'altro, anche il problema della cinta muraria. E' pregio del lavoro aver ricostruito, tramite il Catasto Onciario del 1753, fatto oggetto di un accurato studio da parte del prof. A. Anzivino, la toponomastica antica e il perimetro delle mura cittadine e delle circa venti torri che si ergevano a regolare distanza fra loro. Il prezioso lavoro ha evidenziato che alcuni torrioni sono stati inglobati nelle abitazioni e sono ancora visibili tracce di mura antiche in Largo della Libertà, in via Buttazzi, in via Madonna della Neve, in via Daniele Mafia e in via Manin.
Cosa resta di tutto questo patrimonio? Ben poco.
Oltre alle torri e ad una piccola parte delle mura visibili in via Castello, ci sono PORTA GRECI, nota anche col nome di porta Ecana( forse perché immetteva su un ramo della via Herculea, che attraverso il nostro paese, proseguiva per Aecae) e PORTA NUOVA, che molto probabilmente fu l'ultima ad essere aperta, tra il XV e il XVI secolo, con la costruzione del palazzo della famiglia Scalzi o forse verso la fine del XIV secolo quando, costruita la nuova chiesa si rese necessario aprire un varco nella cinta muraria per avere un accesso più prossimo al complesso abbaziale, che era l'edificio religioso più prestigioso e dove ancora celebravano messa i commendatari e che era al centro di aspre lotte per il suo possesso.
Prese il nome di Porta Nuova così come, nel 1544, prese il nome di Fontana Nuova l'attuale fontana istoriata in contrapposizione alla Fontana Vecchia. Porta Greci ha un notevole basamento e conserva intatto il suo impianto altomedievale: sono ancora visibili i fori degli alloggiamenti dei cardini delle massicce porte. Porta Nuova lascia intuire un momento costruttivo successivo e il rafforzamento dei lati mediante muri di contrafforte a mo di sperone. Sono le uniche, se si eccettua Porta San Giovanni, della quale rimane il ricordo in un documento fotografico degli inizi del ‘900, che veramente hanno superato il tempo anche a dispetto del ripristino effettuato alle "PORTE" del paese dall'Amministrazione Comunale nel 1862.

 

Il palazzo di Torre Guevara
Si trova nella piana compresa tra i due affluenti Sannoro e Lavella, a nord del torrente Cervaro, nel territorio di Orsara di Puglia. La costruzione rientrava nell’elenco delle dimore reali della corte aragonese. Il palazzo è eretto sul versante nord della conca attraversata dal torrente Cervaro, in un’area ricca di cacciagione. La zona, oltre a fornire relax ai vari feudatari e regnanti di passaggio, veniva utilizzata per il ripopolamento faunistico.
Torre Guevara ha trecento anni di storia. Il palazzo fu eretto nel 1680. I Guevara, signori di Bovino, acquisirono il Territorio di Orsara di Puglia e decisero di regalarsi un edificio degno della loro dinastia. Fu Giovanni, quinto duca di Bovino, a far costruire Torre Guevara, per i soggiorni di caccia nel territorio di Montellare. Fece erigere l'imponente edificio nel cuore stesso di un'area geografica delimitata a nord dall'antica città di Troja, a sud ovest da Orsara, a sud da Bovino e ad est da Castelluccio dei Sauri. Una zona ricca di cacciagione, immersa nel verde e nella poesia di un paesaggio dolce come le linee delle colline daune. Il Palazzo fu utilizzato come sontuosa tenuta di caccia. Ospitò re e regine. Nelle sue stanze trovarono ristoro Carlo III di Borbone e la regina Amalia di Valbussa. Il palazzo ha un impianto rettangolare di sessanta metri per venti, con tre piani coronati da un imponente cornicione. E' caratterizzato da una spessa muratura in pietra, con volte a botte.

LA DINASTIA SPAGNOLA CHE AMO’ LA CAPITANATA
Provenivano dalla Spagna i Guevara, dove vantavano già secoli di nobiltà. Furono affascinati dall'Italia, terra di scintillanti promesse e di epiche conquiste. I Guevara giunsero nel Bel Paese al seguito di Alfonso I D'Aragona, Re di Sicilia dapprima, sovrano di Napoli dal giugno del 1442. Fu un atto di fede al proprio Re, poiché i Guevara volevano stare al fianco del loro sovrano nella difficile guerra contro i francesi. Iñigo, Ferrante ed Alfonso Guevara, figli di donna Costanza di Tovar e don Pedro, secondo conte di Oñate, per le imprese militari compiute al servizio di Alfonso I D'Aragona, determinanti per la conquista del Regno di Napoli, ottennero onori, terre e titoli in Italia. La storia dei Guevara, però, si intreccia con quella della Capitanata solo nel 1577, più di un secolo dopo il loro approdo sulle italiche sponde. Giovanni, uno dei rampolli della dinastia, acquistò per trentottomila ducati la città di Bovino. Re Filippo II nominò Giovanni Primo Duca di Bovino. Ad un altro Giovanni, discendente del primo Duca di Bovino, si deve la realizzazione di Torre Guevara. Fu il quinto Duca di Bovino, nato nel 1638, a far costruire l'imponente edificio. Fu sempre lui a fondare nel castello di Bovino una ricchissima biblioteca che l'abate Pacichelli stimava come la più ricca del Regno. I possedimenti ed il dominio dei Guevara andarono crescendo nel tempo. Gli interessi della dinastia si estesero. Gli spagnoli divennero signori di Castelluccio, Orsara di Puglia, Panni e, contemporaneamente, continuarono a prosperare in terra iberica. L'ultimo discendente della dinastia a conservare la proprietà di palazzo Guevara fu Giovanni De Risis. Questi, il 19 ottobre 1920, vendette la tenuta di Torre Guevara ad una cooperativa. Si chiudeva per sempre la lunga storia di una famiglia d'altri tempi che ha legato il suo nome alle vicende della Capitanata.

 

Fontana dell'Angelo


 

 

 

 

 

 

 

Fontana Nuova, (XVI secolo)

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo Baronale, del XIII secolo, con un torrione dalle monofore centinate. Ospitò i cavalieri di Calatrava e successivamente la famiglia Guevara, signori di Orsara.

 

 

 

 

 

 

 

 

LUOGHI DI CULTO

 

 

 

Chiesa parrocchiale di San Nicola, risalente al XVI secolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiesa di Santa Maria della Neve, edificata nel XVII secolo su un edificio più antico.

 

 

 

 

 

 

 

 

Abbazia di Sant'Angelo o dell'Annunziata, edificata fra VIII e XI secolo in stile bizantino e originariamente monastero dei santi Nicandro e Marciano. La sua origine è tradizionalmente localizzata in Asia Minore - in Frigia , intorno al III secolo; nel IV è nota la dedicazione di una Chiesa all'Arcangelo da parte di Costantino. Mentre nei secoli successivi esistevano a Costantinopoli almeno dodici chiese a lui dedicate. L'iconografia orientale, es. a Bisanzio si rappresentava S. Michele in clamide di porpora , come erano vestiti I cortigiani imperiali; mentre in occidente egli indossa una lunga tunica e acquista attributi di guerriero quali l'armatura, l'elmo, la lancia o la spada fiammeggiante S. Michele pesatore delle anime ( con la bilancia : posizione orientale) o giustiziere contro il demonio(con la spada: per l'occidente)?Il Concilio romano del 499 scelse per S. Michele il ruolo di ausiliario della divina giustizia (con la spada): combattente contro il drago o il serpente o comunque la bestia che rappresenta il diavolo (con riferimento scritturale all'Apocalisse di S. Giovanni oltre che alla cacciata degli Angeli ribelli col la spada o Croce con punta. Le origini del culto garganico sono piuttosto oscure, abbiamo a disposizione per tentarne una collocazione cronologica, alcune fonti agiografiche l' Apparitio Sancti Michaelis in Monte Gargano, due diverse edizioni della Vita Sancti Laurentii, vescovo sipontino fra V e VI sec., e una versione greca dell' Apparitio. L' Apparitio è il testo base della leggenda e non dà alcuna precisa indicazione cronologica, anzi l'incipit sembra evocare tempi remoti. Il testo è stato trasmesso da codici del secolo X (uno forse dell'VIII ) e consta di tre episodi. Nel primo episodio un ricco proprietario di mandrie del luogo, di nome Gargano, ritrova un toro, che aveva smarrito, vicino a quella che sarà poi la grotta dell' Arcangelo; adirato, gli scaglia delle frecce che miracolosamente tornano indietro a colpire Gargano stesso. I Sipontini, impressionati dall'evento, chiedono consiglio al Vescovo che indice un digiuno di tre giorni al termine del quale Michele appare e conferma di essere stato l'autore del miracolo e di aver riservato per sé la grotta. Nel secondo episodio è narrata la battaglia dei Sipontini alleati con i Beneventani contro i Napoletani, definiti pagani; la vittoria dei Sipontini è attribuita all'intervento dell'Arcangelo, che era apparso al vescovo la notte precedente la battaglia e che dopo lo scontro imprime l'impronta dei suoi piedi presso il luogo dove sarà poi posta la porta settentrionale del Santuario. Nel terzo episodio i Sipontini, devoti all'Arcangelo, e dubbiosi sul luogo in cui edificare il Santuario a lui dedicato, chiedono consiglio al Papa che propone di aspettare l'anniversario della vittoria sui Napoletani che s'appressa. Il Vescovo, quindi, indice un digiuno di tre giorni dopo il quale l'Arcangelo appare e annuncia di aver egli stesso scelto il luogo e costruito la Basilica che può quindi essere venerata. Il protagonista del primo episodio è quindi un uomo di nome Gargano da cui, secondo l' Apparitio, avrebbe preso il nome il monte, mentre il toponimo era stato già citato da Virgilio e Orazio. Gargano assume però il ruolo di "eroe eponimo" della storia, grande possidente e uomo vendicativo che proietta i suoi caratteri sulla montagna e probabilmente esprime un'eco del culto primitivo di Gargan, il dio gigante proveniente dall'Oriente e onorato, dopo il Neolitico, anche nelle regioni occidentali della Francia. Non a caso il culto di Gargan era presente a Mont Saint Michel, che il vescovo di Avranches, Sant'Aubert, dopo alcune apparizioni, che hanno dei caratteri in comune con quelle dell' Apparitio garganica, consacrò a San Michele nel 709, dopo aver fatto abbattere i resti dei templi dove Gargan era onorato. E' noto come i due Santuari in questione siano stati legati sin da principio; quello di Mont Saint Michel, sorto due secoli circa dopo la chiesa del Gargano, fu edificato probabilmente sul modello di questa, utilizzando anche reliquie fatte venire di lì, fra cui una pietra del Gargano. Anche la leggenda di Mont Saint Michel, il così detto Monte Tumba, parla di un toro e molti sono i significati che si possono dare a questo animale tradizionalmente sacro e rituale. Il toro è stato messo in relazione con il montone nero di cui parla Strabone, riferendosi al Gargano. Egli infatti, in un brano della sua opera, parla di un monte Drion in cui sarebbero esistiti due templi: uno sulla cima, dedicato a Calcante, l'indovino che offriva i suoi oracoli a coloro che immolavano un montone nero e dormivano una notte sulla sua pelle,  l'altro ai piedi del monte, dedicato a Podalirio, medico famoso, figlio di Esculapio, dal quale sgorgava un'acqua miracolosa che poteva guarire il bestiame malato. Si è giunti a pensare, dopo varie ipotesi di localizzazione, che questo monte vada identificato con l'odierno Monte Sant'Angelo. Così si è pensato che sia avvenuta in quel luogo una sostituzione diretta fra i culti di questi due mitici personaggi e quello dell'Arcangelo Michele: la grotta di Calcante sarebbe oggi il Sacro Speco e le acque dell'antico Alteno sarebbero oggi quelle, ritenute miracolose, della Stilla. Gli studi più recenti tendono a distinguere la Stilla dall'antico Alteno, che andrebbe piuttosto identificato con il torrente che scorre nel vallone di Carbonara, nascendo dal lago di Sant'Egidio, ai piedi di Monte Sant'Angelo e gettandosi nel golfo di Manfredonia presso Mattinata. Comunque il culto delle acque miracolose sembra legato all'immagine di San Michele fin dalla sua origine orientale e già a Colossae o Chonae, una delle prime sedi di devozione riconosciute, questo elemento acquatico è presente nei miracoli dell'Arcangelo. Gli elementi naturali, il bosco, le fonti, le grotte, suggerivano agli antichi la presenza di oracoli sacri; il culto di San Michele si configura come culto naturale, legato ad alcune situazioni ambientali precise: il monte, con luoghi elevati in genere, l'acqua, e ancora di più, la profondità delle grotte che entrano nelle viscere della terra e che contribuiscono così, con gli altri due elementi, a fare di San Michele il dominatore delle forze naturali, dell'acqua che stilla dalla roccia e del terremoto che spacca la terra. Il liber de Apparitione Sancti Michaelis in monte Gargano risale alla fine dell'VIII o ai primissimi anni del IX sec.; vi sono stati individuati due stadi redazionali che collegano e fondono nel racconto le origini del culto garganico (V-VI sec.) ed episodi storici (sconfitta dei Bizantini ad opera dei Longobardi di Benevento nel 650, unificazione delle diocesi di Benevento e Siponto) che si riferiscono ai sec. VII e VIII. Anteriormente al Liber de apparitione, nei testi liturgici non compare alcuna menzione del Santuario garganico. In precedenza i sacramentari ricordano solo la celebrazione della festa di San Michele il 29 settembre, data della dedicazione della Basilica Romana della Via Salaria elevata intorno alla metà del V sec. Solo nella seconda metà dell'VIII sec. alcuni codici interpolati del Martirologio Gerolimiano danno la notizia della dedicazione del 29 settembre riferendola al Gargano, mentre dal primo trentennio del IX sec. la dedicazione garganica viene celebrata alla data dell'8 Maggio. Le due tradizioni probabilmente si fusero a livello colto e ufficiale mentre al livello popolare la distinzione della festa romana da quella garganica è rimasta più a lungo. Le due date confermano il carattere agrario e il valore ciclico del culto che fa coincidere le festività con il momento iniziale e quello finale dei lavori agricoli, semina e mietitura quindi con i cicli di Autunno e Primavera. Questi periodi coincidono con quelli della transumanza come dimostrato dal fatto che Alfonso I fissò il 29 settembre e l'8 maggio per segnare l'apertura e la chiusura della "Regia Dogana della mena delle pecore in Puglia". Paolo Diacono riferisce che nel 650 circa Grimoaldo, "bellicosissimus", aveva sconfitto i Greci che volevano saccheggiare l'oracolo di San Michele sul Monte Gargano, diventandone così il protettore. L'episodio segna il primo incontro dei Longobardi con questo che diverrà il loro culto nazionale. La conversione definitiva dei Longobardi pagani e ariani al Cattolicesimo si ebbe con il successore di Grimoaldo, il Duca Romoaldo I e, probabilmente, la moglie di questi, Teuderada, promosse il restauro del Santuario garganico, dopo il saccheggio di Costante II. I Longobardi non ebbero difficoltà nell'accettare il culto di San Michele Arcangelo accanto a quello degli altri due protettori tradizionali, San Giovanni Battista e San Pietro, in quanto il carattere di Archistratego delle milizie celesti, dominatore delle forze naturali e combattente assiduo di quelle demoniache poteva facilmente portare alla trasposizione nell'Arcangelo di Wotan, la più importante divinità del Valhalla germanico. Il culto micaelico inoltre metteva d'accordo il carattere guerriero dei dominatori e l'ambiente popolare-contadino meridionale che vi ritrovava elementi delle proprie tradizioni magiche e di riti ancestrali. Il culto allora, da taumaturgico, assunse una connotazione guerriera e nazionalistica. Nacque l'immagine di San Michele che guida il popolo longobardo alla conquista dell'Italia Meridionale, come nella Chronica Sancti Benedicti, compilazione che risale al IX secolo, colma di spirito nazionalistico longobardo. Questo adattamento dell'iconografia micaelica allo spirito longobardo fu rallentato nell'Italia Meridionale dall'influenza greca. Infatti, ad esempio, il Santo appare sulle monete solo a partire da Sicone e con attributi iconografici di tipo bizantino: in figura frontale, con il pastorale nella mano destra e il globo crucifero nella mano sinistra, iconografia che trova riscontro nei rilievi più antichi esistenti sul Gargano. Che il santuario del Gargano sia diventato meta di pellegrinaggio e simbolo per le genti longobarde, è provato da un'analisi del corpus delle iscrizioni rinvenute sulle strutture dell'edificio di origine longobarda, strutture attribuibili ai secoli VIII-IX, coperte dagli interventi successivi e riportate alla luce fra il 1949 e il 1960. Le iscrizioni riportano nomi di pellegrini illustri, come lo stesso Romualdo, ma anche comuni. Studi onomastici hanno riconosciuto l'origine germanica dei nomi, in gran parte longobardi ma anche anglosassoni o di tradizione greco latina. Il pellegrinaggio ha avuto, come è noto, per l'uomo medioevale, un'importanza spirituale e culturale grandissima. Fosse diretto a Roma, a Gerusalemme, a Santiago di Compostela in Galizia, o a San Michele nel Gargano, il pellegrinaggio veniva a simboleggiare la dedizione completa al culto della stessa vita, che la strada, con le sue insidie, metteva in pericolo. Il Santuario del Gargano si trova in una posizione piuttosto particolare a questo riguardo, in quanto luogo sacro e tappa del viaggio per la Terra Santa. Fra VIII e X sec. il fenomeno del pellegrinaggio al Gargano assunse dimensioni europee, come documentato ampiamente da Cronache e Itineraria dell'epoca, oltre che da documenti e rinvenimenti archeologici. Alla fine del X sec. risalgono due pellegrinaggi documentati, e cioè quello noto attraverso l'Itinerarium Bernardi Monachi e quello dei monaci inviati da Sant'Aubert, Vescovo di Avranches, nel 709, in seguito al cui viaggio sarebbe sorto il Santuario di Mont Saint Michel. L'Itinerarium Bernardi Monachi è la breve cronaca di un viaggio in Terrasanta, compiuto da un monaco di nome Bernardo, del quale non è detta la provenienza; in un tratto è accompagnato da Theudemundus, monaco proveniente da un monastero benedettino dedicato a San Vincenzo, e da un monaco spagnolo di nome Stefano. La data del viaggio riportata nei manoscritti è il 970 ma probabilmente va corretta all'870 in quanto il Papa che benedice i tre monaci a Roma e dà loro il benestare alla partenza, è Nicola I, morto il 13 Novembre 867. La cosa più interessante da notare è che i pellegrini, nel viaggio di andata, fanno tappa sul Monte Gargano, dopo essere stati a Roma e quindi, attraverso Bari e Taranto, proseguono per la Terrasanta. Al ritorno, dopo una sosta al Mons Aureus, che sembra da identificarsi con la grotta di Olevano sul Tusciano dedicata anch'essa a San Michele, e dopo una ulteriore sosta a Roma, dove il gruppo si scioglie, il monaco Bernardo continua il suo pellegrinaggio da solo fino a Mont Saint Michel, dedicato anch'esso al culto dell'Arcangelo. E' evidente quindi una particolare devozione micaelica. Infatti i luoghi legati al culto dell'Arcangelo, presenti anche solo nella Longobardia minore, sono numerosissimi, per fare qualche esempio si possono citare, fra i Santuari collinari e grottali, l'Abbazia di S. Michele in Vulture, la chiesa di Sant'Angelo in Formis, oltre ai luoghi dedicati al Santo a Sannicandro Garganico, Altamura, Gravina, Putignano, Mottola, alle chiese rupestri di Statte o Massafra e ai toponimi che contengono le parole Sant'Angelo, Sant'Arcangelo o San Michele. La "via Sacra Langobardorum" collegava direttamente Benevento al Santuario di San Michele. Il sistema viario longobardo doveva probabilmente fare perno sul tronco della via Appia che da Avellino,per il Calore e l'Alto Ofanto, giungeva alla piana del Tavoliere. Dal Tavoliere una strada per Lesina, Ripalta, San Nazario, Segri, il Passo di Civitella e Carpino conduceva a Monte Sant'Angelo. Una seconda via seguiva il corso dell'antica Frentana-Traiana che collegava Roma, Benevento e Brindisi, passando per il Tavoliere; nel Medioevo, percorsa da un intenso flusso di pellegrini diretti ai porti d'imbarco per la Terra Santa, venne detta via Francigena .La Traiana aveva costituito l'asse viario più importante della Daunia: sul suo percorso erano Teanum Apulum, che sarebbe diventata Civitate, ed Ergitium, l'odierno Casale Sant'Eleuterio, importante nodo stradale, da cui la strada si biforcava da una parte verso nord-est, attraverso la Valle dello Stignano, San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo e Monte Sant'Angelo, che è poi la via sacra dei Longobardi propriamente detta, dall'altra parte, verso sud- est, per il Tavoliere e Siponto. Probabilmente con il regno di Liutprando (712-744) si ebbe una ristrutturazione della rete viaria e i re longobardi facilitarono il cammino dei pellegrini, come fece Radelchi, alla metà del IX sec., quando dopo la divisione dei principati di Capua e Benevento si impegnò a permettere il passaggio dei pellegrini diretti da Capua al Gargano. E' da tenere ben presente il gran numero di chiese, monasteri, ospizi e ospedali, ripari e xenodochia che sorsero su questi percorsi per rendere più agevole il passaggio degli Appennini e il viaggio fino al Gargano. A questo proposito si può ricordare che la regina Ansa, moglie di Desiderio, secondo Paolo Diacono avrebbe promosso la costruzione di ospizi per i pellegrini. Le strade inoltre dovevano essere presidiate per resistere agli attacchi dei Bizantini; si spiegano quindi toponimi quali Castelnuovo o Castelpagano e i resti di fortificazioni. Lungo queste strade e lungo i sentieri che salivano alla cima del monte, che ancora oggi hanno nomi come Malipassi, Jumitite, Stamburlante e Scannamugliera, sono ancora visibili le tracce che un passaggio secolare di uomini e animali ha impresso profondamente sul terreno. Fra X e XI sec. il culto dell'Arcangelo ebbe un ruolo importante nel tentativo generale di bizantinizzazione della Puglia orientale, protetta dalla barriera delle città fortificate che il catapano Basilio Bojohannes aveva fondato lungo il confine. Ma gli stessi Normanni, futuri padroni dell'Italia Meridionale, secondo la cronaca di Guglielmo di Puglia, salirono al Gargano fra il 1012 e il 1017 e qui incontrarono il ribelle Melo da Bari. Nello stesso periodo altri pellegrini illustri, come Enrico II e Papa Leone IX si recarono al Santuario. Ma se il Santuario era divenuto simbolo del potere, ciò era vero in particolar modo per i Normanni già legati al Santuario di Mont Saint Michel dove i primi Duchi di Normandia si recavano per pregare San Michele. Il Santuario ha poi perso progressivamente la sua importanza politica ma il culto e il pellegrinaggio al Monte hanno mantenuto ininterrotta la loro antica tradizione. Migliaia di pellegrini hanno continuato a salire sul Gargano, si possono citare a questo proposito Anselmo Adorno e il figlio Giovanni che nel 1470 passarono per il Gargano. Il culto ebbe ulteriore incremento nell'età della Controriforma, per opera dei Gesuiti che vedevano nell'Arcangelo Michele vincitore del dragone, adombrante l'eresia protestante, il trionfo della chiesa Cattolica, e nel XVII sec., per la presunta azione taumaturgica del santo contro la peste. Nel secolo scorso la figura popolare del pellegrino, contadino o pastore, era ancora caratteristica del folklore locale e ci si può rendere conto di quanto questo culto sia ancora vivo anche se con forme mutate. Orsara di Puglia è un piccolo centro del Subappennino Dauno a 650 m di altezza tra la valle del Cervaro e quella del Sannoro. Si trova quasi al confine con la Campania tanto è vero che, con il nome di Orsara dauno irpina, fino al 1927 pertineva alla provincia di Avellino. Le sue origini sono piuttosto oscure. Non se ne hanno attestazioni documentarie anteriori ad un diploma del 1^ gennaio 1024 in cui si dice che il confine del territorio della città di Troia " ferit ad speluncam Ursariae ".Tuttavia le testimonianze archeologiche più antiche rinvenute nella zona, riferibili ad arredi tombali e non ancora compiutamente studiate mostrano che il territorio era già abitato nell'età del bronzo. La quantità di reperti conservati presso l' Antiquarium Diocesano (o Museo) di Orsara è molto grande e comprende pezzi attribuiti ad un arco cronologico che va dalla preistoria, attraverso l'età della colonizzazione greca e romana, fino al Medioevo ed oltre. I pezzi necessitano di un'adeguata sistemazione che sarà possibile probabilmente, a restauro ultimato, nei locali al pianterreno della ex-Abbazia dell'Angelo. I reperti, venuti alla luce nelle campagne circostanti e, per interessamento di studiosi locali, raccolti e conservati, sono stati per la maggior parte schedati presso la Soprintendenza Archeologica. Le testimonianze di età romana mostrano in modo particolare la frequentazione della località detta Magliano, che anche nel nome richiama un'origine toponomastica latina. Nell' Antiquarium Diocesano è possibile vedere epigrafi, resti di sculture e parti decorative di pregevole fattura un tempo appartenute ad edifici, come i resti di pavimento a mosaico o le sime con gocciolatoio leonino in terracotta. Del resto Orsara insiste in un'area intensamente romanizzata -basti pensare ai vicini centri di Aecae, Ausculum e Vibinum, interessata anche dalla importante rete viaria di collegamento fra Roma e la costa adriatica. La situazione della rete stradale pre e protostorica, per l'area in esame, non è documentata, nasceva da necessità di scambio ed era finalizzata a collegare il Pre Appennino, la pianura e la costa ai grossi centri produttori, ma, con la conquista dell'Oriente, la Daunia divenne un semplice punto di passaggio. Con il fenomeno delle ville rustiche dei grandi latifondisti, la rete di comunicazione primitiva perse di importanza ma si sviluppò una rete limitata al rapporto fra le ville stesse. Dal II sec. d.C. le grandi vie di comunicazione vennero rese pubbliche dopo essere state lastricate e risistemate in tracciati che sono ricostruibili attraverso l'indicazione delle pietre miliari e delle stazioni riportate negli Itineraria. Le varie ipotesi di ricostruzione di questi percorsi seguono tutte più o meno lo stesso andamento, con piccole variazioni, utilizzano, come fonti, testimonianze letterarie, come il viaggio descritto da Orazio nella V Satira del I libro; antichi itinerari, quali l'Itinerarium Burdigalense, nel quale sono segnate le stazioni di cambio per i cavalli Mutationes e le Mansiones per offrire riposo ai viaggiatori; tengono conto inoltre di ritrovamenti archeologici e di prospezioni aerofotografiche. Il tratto che a noi interessa è quello compreso fra i due nodi stradali sicuramente documentati di Aequum Tuticum, dal 1794 identificato unanimemente con "contrada San Eleuterio ", ed Aecae, presso l'odierna Troia. San Eleuterio, a Sud di Orsara è documentato come centro urbano fino al V secolo, il che fa pensare ad una rapida decadenza della città. In questa zona la ricognizione del tracciato delle vie romane presenta delle difficoltà. I due centri erano collegati tramite la via Trajana che da Benevento arrivava, attraverso varie tappe, in Sant'Eleuterio-Aequum Tuticum dove confluiva la via Herculea che proveniva dalla Lucania e quindi da Venosa. Da quì si dirigeva verso nord-est attraverso le "Tre Fontane" fino a San Vito (938 m.s.l.m. il suo punto più alto), quindi raggiungeva la MUTATIO AQUILONIS, che dovrebbe identificarsi con una località sul fiume Celone, una volta detto Aquilo, e salendo per il Buccolo, raggiungeva la città di Troia. Oltre la Via Trajana, probabilmente un'altra strada attraversava la stessa zona, seguendo il corso del Cervaro. La questione riveste per noi una certa importanza in quanto tale strada sarebbe risultata parallela all'Appia Trajana. Sui fogli 1: 100.000 dell'I.G.M. relativi ad Ariano Irpino e a Lucera, allegati allo studio dell'Alvisi, è inoltre la indicazione di una via passante per Orsara che staccandosi dalla strada che attraversava il Vallo di Bovino all'altezza dell'attuale Stazione F.S. di Orsara, sarebbe passata molto vicino al luogo dove oggi sorge il paese e, dopo aver attraversato la zona di Magliano, avrebbe raggiunto Troia. La Alvisi, infatti, interpretando aerofotografie del 1954,individua una traccia che si distacca a sud del Cervaro, all'altezza del ponte di Bovino, e che passando a nord di Castelluccio dei Sauri, punta ad est verso Ordona; ipotizza pertanto una strada più antica della Trajana che utilizzava il Vallo del Cervaro. A sostegno di questa ipotesi si può menzionare l'episodio di Annibale che, sceso in Puglia dopo aver sconfitto i Romani al Trasimeno, distrutta Lucera ed Arpi, si accampò nel luogo noto come Castrannibale (toponimo presente nei documenti medioevali). Questo luogo va identificato con il castello di Montecalvello o Montecalveolo presso Orsara in posizione strategica per dominare il passaggio fra Sannio, Apulia e Irpinia. Annibale successivamente, per recarsi a Benevento attraverso Savignano, Ariano e Grottaminarda, dovette utilizzare il passaggio del Vallo. La Valle del Cervaro, costituisce una naturale via di comunicazione tra Ariano Irpino ed il Tavoliere; il Vallo di Bovino è considerato uno dei migliori passi del Preappennino, attraversato ancora oggi dalla ferrovia e dalla Statale. Il Vallo deve quindi aver rivestito un ruolo importante nelle comunicazioni dall'antichità ai giorni nostri. L'ipotesi dell'esistenza di una strada trasversale passante per la zona di Orsara trova qualche appiglio nei rinvenimenti archeologici effettuati nella zona di Magliano dove dovevano essere presenti grandi ville romane che utilizzavano strade di intercomunicazione diverse dalle grandi arterie. L'utilizzazione di reti stradali alternative dovette intensificarsi nell'epoca della guerra greco gotica, quando il disgregamento del potere centrale in grado di mantenere efficiente la rete viaria, e la paura connessa alle frequenti invasioni, favorirono questo fenomeno, collegato anche alla decadenza dei centri urbani. Le strade più frequentate si adattarono alla nuova situazione insediativa e utilizzarono così solo alcuni tratti delle vecchie strade romane, specie nei punti in cui ciò era indispensabile come ad esempio nei valichi montani. E' probabile che ciò avvenisse anche nel caso della vecchia Via Trajana che proprio nella zona di Orsara attraversava gli Appennini. Gran parte del Traffico che si svolgeva lungo queste arterie era costituito, nel Medioevo, da pellegrini che si recavano a visitare i Loca Sancta. Lungo il percorso dei pellegrini, tappa importante in Puglia è naturalmente il Santuario di San Michele a Monte Sant'Angelo, meta di pellegrinaggio fin dal lV sec. In questo contesto è fondamentale il collegamento fra Monte Sant'Angelo e Benevento, utilizzato non solo durante il periodo longobardo, quando si stabilì la cosiddetta "Via Sacra dei Longobardi",di cui abbiamo avuto modo di parlare, ma anche in seguito. In generale lungo queste grandi arterie sorsero xenodochia e ospedali che fornivano assistenza ai pellegrini ed assolvevano la funzione delle antiche stazioni. Un documento importante per fare luce sulla situazione pugliese, nel momento della trasformazione della rete viaria antica in quella medioevale, è costituito proprio dalla relazione di viaggio compilata da un pellegrino. Si tratta dell'Itinerarium Burdigalense (o Itinerarium Hierosolimitanum) il cui esame a confronto con altri Itineraria, è stato condotto da Gelsomino, Si tratta dell'annotazione delle tappe di un viaggio in Terrasanta condotto da un pellegrino di Burdigala, oggi Bordeaux, il quale torna a casa attraverso la Puglia, intorno ai primi mesi del 334 d. C., usufruendo del sistema postale di Costantino. Il tracciato ricostruito da Gelsomino può sostanzialmente identificarsi con quello della via Trajana. La strada da Troia (m. 439) saliva a quasi mille metri (Masseria San Vito m. 971) e qui Gelsomino rintraccia resti di questa strada nel Ponte dei Ladroni, in quello delle chianche e quello di Buonalbergo. La strada, che fu ristrutturata da Settimio Severo, Caracalla e Costantino, seguiva così, giungendo da Troia, la Valle del Celone, l'antico Aquilo, presso il quale era la Mutatio Aquilonis, e si giungeva al Piano di San Eleuterio. Aequum Tuticum (Aequum Magnum nell'Itinerarium Burdigalense). Lo studioso afferma che in seguito questa strada fu abbandonata o si crearono percorsi alternativi. La stessa via di pellegrinaggio deve essere stata utilizzata a lungo se, a distanza di secoli, era ancora frequentata. Si può leggere infatti nella relazione del viaggio di Anselmo e Giovanni Adorno in Terrasanta, scritta fra il 1470 e il 1471, che il percorso dei pellegrini, che nel viaggio di ritorno attraversarono la Puglia, tocca la zona di Orsara. Anselmo e Giovanni provenendo dalla Terrasanta, passano per il Santuario di San Michele sul Gargano e poi proseguono per Troia e per quello che chiamano il Mont Crepour (Crepacore) descritto come alto, isolato e pericoloso per i venti che, quando soffiano molto forte, non permettono il passaggio. Si cita anche San Vito, una casa "parvula" in cima al Mont Crepour a sette miglia da Troia in cui i viaggiatori possono trovare ospitalità. Fra le "direttrici di transito a lunga durata" sono da ricordare inoltre i percorsi segnati dai tratturi già nell'età del Bronzo, utilizzati in epoca romana e divenuti proprietà demaniale, attraverso la sistemazione operata dagli aragonesi. Questi percorsi comunque sempre riferiti alle esigenze dell'economia pastorale e distinti dalle strade che variano percorso in relazione alla situazione dei centri urbani che attraversano. Uno sguardo alla Carta dei Tratturi, che ne riporta il tracciato nella sistemazione più recente, mostra come questi percorsi non toccassero direttamente Orsara che viene a trovarsi tra il tratturello non reintegrato Foggia - Camporeale, che saliva per il Monte San Vito, Celle San Vito, Troia, e il tratturello non reintegrato Cerignola - Ponte di Bovino, che costeggiando dapprima il Cervaro si allontanava poi verso Castelluccio dei Sauri. Un accenno ad Orsara è possibile trovare nell'opera di Andrea Gaudiani, Notizie per il buon governo della Regia Dogana della mena delle pecore di Puglia, pubblicato a Foggia nel 1700. "Orsara" vi è menzionata come uno dei contropassi proibiti che venivano custoditi per impedire alle greggi di entrare in Puglia prima della data stabilita per legge. L'autore cita anche un tratturo, fra i tre principali, che passava presso Orsara: "Il terzo viene da Pescoaseruli, Alfidena, Castel di Sangro, Isernia, Supino, S.Marco, Crepacore, Ursara, Bovino, Iliceto et Ascoli": un percorso quindi che dall'Abruzzo scendeva verso la Puglia. Nei Demani di Troia e Orsara erano comunque, sempre secondo il Gaudiani, i riposi per il bestiame che calava dai monti verso Ponente. Per concludere, Orsara si troverebbe in posizione un pò arretrata rispetto alle grandi vie di comunicazione ma a poca distanza da esse. E' certamente particolare la sua posizione centrale fra i due assi costituiti dalla antica Via Trajana e dalla strada per il Vallo di Bovino. Il paese deve essere sorto, in epoca non documentata, su un percorso di viabilità secondaria che già dall'antichità doveva mettere in comunicazione i due rami principali ed è un dato di fatto che l'Abbazia dell'Angelo costituiva un richiamo per i pellegrini diretti al Sacro Speco del Gargano. A questo si può aggiungere che la vicinanza del tratturo proveniente dal nord doveva mettere in comunicazione questa zona anche con l'Abruzzo e il Molise. Ai margini dell'abitato di Orsara a Nord in località Castello e in prossimità del Convento di S. Domenico, sorgono i resti della cinta muraria medioevale, intervallata da torrioni quadrangolari. Di questi robusti torrioni ne sono rimasti in piedi solo tre, edificati in opera muraria incerta e paragonabili ad altri che, allo stato di rudere, segnano il sito di alcune città che furono fondate nei primi decenni dell'XI sec. dai Bizantini lungo la frontiera del Fortore e poi abbandonate nel tardo medioevo. Uno di essi è stato inglobato da una casa privata. Sono visibili poi numerosi resti di muratura (sopravvissuti forse grazie alla posizione in cui si trovano), oggi all'interno del cortile del Convento di S. Domenico. A partire da questa cinta muraria si può cercare di ricostruire lo sviluppo del nucleo urbano. Guardando la planimetria di Orsara si nota come il margine del paese a nord e ad ovest, dove l'orografia determina un rapido abbassamento di quota, segua quasi una linea continua che a partire dalle torri, prosegue per il Convento di S. Domenico e, per il crinale scosceso, arriva all'Abbazia dell'Angelo posta al margine ovest dell'abitato. A conferma di un tale andamento della cinta muraria v'è la presenza di due delle tre porte del paese, e cioè la Porta Ecana, l'unica ancora esistente, non lontano, verso sud, dall'Abbazia dell'Angelo e la Porta S. Giovanni presso il Convento di S. Domenico. Una terza porta detta di San Pietro, era presente a Est dell'abitato e la sua scomparsa è dovuta allo sviluppo recente del paese in quella direzione. Allo stesso motivo si dovrebbe imputare la scomparsa della cinta muraria in quella zona e a sud, abbattuta probabilmente per far posto ai nuovi edifici. Il Convento di S. Domenico, oggi affidato alle Figlie di Nostra Signora di Monte Calvario, chiuso temporaneamente per restauro, era in origine dedicato a S. Giovanni. Non si hanno notizie certe sulla fase iniziale di questo insediamento che la tradizione locale vorrebbe fondato dai Cavalieri dell'Ordine di Malta, quindi passato ai Frati Domenicani, abitato da alcuni eremiti e affidato quindi alle Monache del Divino Redentore. Il complesso, costituito da numerosi ambienti su più piani, presenta un chiostro quadrangolare sul quale si affacciano i corridoi delle celle per i monaci. La chiesa, barocca, è attualmente chiusa anch'essa per restauro. La strada che parte dal convento e va verso l'esterno del paese è intitolata a San Rocco e, stando alla devozione particolare per questo santo, non è escluso che in passato ci fosse una chiesa fuori porta, oggi scomparsa, a lui dedicata. Come già accennato è difficile determinare la posizione della antica cinta muraria ad est. Si può ipotizzare che le mura non si estendessero oltre la chiesa della Madonna della Neve in quanto un'incerta notizia riporta che la chiesa oggi esistente sarebbe una ricostruzione, poco distante, dell'edificio originario sorto intorno al 1000 extra - moenia, del quale sarebbe stato utilizzato solo il portale. Il nucleo interno del paese più antico si sviluppa intorno alle uniche altre due chiese, in posizione centrale rispetto alla cinta, a poca distanza una dall'altra. Si tratta della chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola di Bari, documentata per la prima volta nel 1303 e successivamente molto rimaneggiata, dietro la quale è la Strada detta " della Collegiata" che conserva edifici del XVI secolo, e la chiesa barocca di S. Maria delle Grazie, detta tradizionalmente dei Morti, per il tema ricorrente, rappresentato sulla facciata e all'interno, di teschi e ossa umane. Le strade del nucleo più antico sono disposte all'incirca ad avvolgimento intorno alla Chiesa Parrocchiale; a nord e ad ovest seguono l'orografia e quella che doveva essere la linea delle mura. Il nucleo centrale è attraversato da un asse viario est-ovest sul quale sorgono la chiesa Parrocchiale e quella di S. Maria delle Grazie, collegato forse in origine all'Abbazia dell'Angelo. La zona antistante il complesso abbaziale (oggi P.za Mazzini),fu interessata fra il XVI e XVII secolo, ad opera dei Guevara, da alcuni rimaneggiamenti, che, con l'intento di creare un passaggio coperto fra il palazzo della ex-Abbazia e la piazza antistante la chiesa parrocchiale, dovettero interrompere il vecchio asse viario; crearono infatti, con la costruzione di un cavalcavia, un camminamento che dal Palazzo, attraverso gli edifici di fronte e quelli dove oggi ha sede l'asilo comunale, giunge davanti alla chiesa di S. Nicola. L'Abbazia dell'Angelo, situata sulla cinta muraria e ben visibile dalla strada proveniente da Troia, deve aver costituito un importante punto di riferimento per il territorio circostante. Contemporaneamente, posta all'estremità dell'asse viario principale est-ovest, deve aver condizionato lo sviluppo urbano. Con la sua decadenza, il complesso abbaziale rimase sempre più emarginato nell'ambito della vita cittadina, fino ad assumere una posizione periferica rispetto al moderno accrescimento del tessuto urbano. La nascita del centro urbano di Orsara probabilmente è collegabile alla fondazione dell'Abbazia dell'Angelo. Il toponimo, come abbiamo già notato, non compare nelle fonti scritte fino al 1024 e, anche se la storiografia locale afferma un'origine remota di Orsara, i reperti archeologici riferibili a varie epoche, dall'età dei metalli in poi, non testimoniano con sicurezza l'esistenza di un centro urbano, ma potrebbero allo stesso modo indicare un tipo di insediamento sparso. L'ipotesi più attendibile è quella che vede svilupparsi il paese a ridosso dell'Abbazia dell'Angelo, fondata dai benedettini nell'XI sec. Quando i baiuli imperiali nel 1024, alla presenza di Basilio Boiohannes, su richiesta degli abitanti di Troia che avevano resistito all'assedio di Enrico II, stabiliscono i confini del territorio di pertinenza della città, il confine toccava la "spelunca Ursariae". Si tratta probabilmente della "grotta dell'Angelo" che a quella data doveva già essere nota per il culto micaelico e quindi assumibile come indicazione topografica. Se nel 1080 viene citata una "silva de Ursara", la prima volta in cui si parla di Ursaria come centro urbano distinto dall'Abbazia è nel 1156 quando in un documento si accenna ad una "via pubblica", nella zona del Sannoro, che da Troia conduce ad Ursaria. Il più antico riferimento all'Abbazia ci è giunto in un altro documento troiano del 1125, in cui l'insediamento pare aver raggiunto una notevole floridezza. La storiografia locale, invece, riferisce la nascita dell'Abbazia ai primi tempi del Cristianesimo e alcuni studiosi, dal Giustiniani (1804) al Tramonte (1975) collegano lo sviluppo del complesso monastico e del centro urbano al periodo longobardo, quando la zona era compresa nel Principato di Benevento. In realtà un periodo longobardo della storia di Orsara non è documentabile e questa ipotesi cronologica trova appiglio solo in relazione all'interesse dei Longobardi per il culto dell'Arcangelo e al loro impegno per lo sviluppo del Santuario di Monte Sant'Angelo. Anche due iscrizioni, conservate presso la chiesa dell'Angelo non offrono prove certe dell'esistenza dell'Abbazia già nei primi anni dell'XI secolo: una delle due riporterebbe la data 1003, ma l'epigrafe ci è giunta frammentaria e il testo ci è pervenuto solo attraverso le citazioni della storiografia locale. Ad un esame paleografico entrambe le iscrizioni, che si riferiscono ad un certo Petrus Legionensis Abbas Ursare e menzionano una dedica della chiesa alla SS. Trinità, sono risultate databili fra XIII e XIV secolo. Nonostante l'incertezza sulle origini, da questi dati si può desumere che l'Abbazia e il centro urbano si svilupparono nel corso dell'XI secolo e furono partecipi degli importanti avvenimenti che interessarono quel territorio di confine fra Longobardi e Bizantini. Dopo l'infruttuosa impresa (1018) di Melo da Bari e suo cognato Datto appoggiati da Longobardi e Normanni i quali fanno la loro prima apparizione in Puglia, e non a caso la leggenda vuole che l'incontro sia avvenuto al Santuario di Montesantangelo, il Catapano Basilio Boiohannes fortifica il confine sempre sottoposto a pressione, promuovendo la fondazione e la costruzione di città fortificate in grado di costituire un vero cordone difensivo contro gli attacchi esterni. Nascono così Civitate, Fiorentino, Dragonara, Melfi, Tertiveri, Montecorvino e Troia che, se opposero dapprima una valida resistenza, e mi riferisco in modo particolare a Troia- non poterono impedire l'insediamento progressivo dei Normanni. Non è possibile dire in quale area di influenza gravitasse Orsara che era al limite del territorio : il cosiddetto"Limitone" fra Greci e Longobardi, non sempre ben definito, doveva passare fra Bovino e Ariano Irpino. Un documento del 1019 e quello del 1024 descrivono minuziosamente i confini del territorio troiano; risultano utili, nonostante la scomparsa o la non facile identificazione di molti dei luoghi citati, per ricostruire la configurazione della zona fra Troia e Orsara. Vi si evidenzia, per esempio, la fitta presenza di piccoli centri abitati e di insediamenti religiosi che popolano le campagne. Il clero latino era largamente rappresentato, per la tolleranza dei Bizantini che permisero l'insediamento dei vescovadi latini nelle città da loro fondate (ad esempio Civitate, Dragonara e la stessa Troia), ma l'elemento greco è presente ad esempio nel monastero di S. Nazario di Monte Magliano la cui fondazione è anteriore al 1059. Questo però non prova che l'Abbazia dell'Angelo si sia sviluppata - come sostiene Cotugno, da un originario cenobio fondato da monaci provenienti dall'oriente. Ad avvalorare la sua ipotesi, lo studioso ricorda la presenza di dipinti su tavola di tipo bizantino nella chiesa dell'Angelo. Era ancora possibile vederli, a quanto riportato da Del Giudice, fino a l5 agosto 1840: "All'altare maggiore di detta chiesa diS. Maria sovrasta la di lei veneranda effigie tenendo a destra quella dell'Arcangelo S. Michele ed a sinistra l'altare di S. Pietro Apostolo. Tali pitture sono antichissime e di elegante pennello greco sopra tavole". Queste perdute icone di epoca imprecisabile, provano solo l'adesione dei committenti ad un gusto legato alla tradizione pittorica bizantina, tenacemente presente in Puglia per lunghi secoli. Negli ateliers monastici (ad esempio S. Maria delle Tremiti) già dall'XI secolo venivano prodotte icone. Ma ancora nel XV e XVI secolo," negli ambiti culturali più conservativi ... non era raro imbattersi in opere dipinte "alla greca" o in iconografi cretesi emigrati" che, dopo la caduta di Bisanzio in mano ai Turchi nel 1453, tendevano "a perpetuare e a custodire a livello tecnico stilistico e iconografico la preziosa eredità costantinopolitana". Fra i molti insediamenti benedettini presenti nel territorio si può citare il Monastero dei Santi Nicandro e Marciano, sorto prima del 1064 sul Monte Maggiore a poca distanza da Orsara, e donato nel 1080 a Desiderio di Montecassino da Roberto il Guiscardo. La zona fu certamente teatro delle operazioni militari condotte dal ribelle Melo da Bari che ottenne a Vaccarizza una vittoria (1071), ma non trova riscontro documentario la notizia secondo la quale nello stesso anno egli avrebbe stabilito un presidio ad Orsara ed approntato le difese contro Troia nella zona oggi detto Guardiola, facendo costruire, dopo la disfatta dei Bizantini, la Chiesa di San Salvatore. Lo stesso si può dire circa la notizia secondo la quale quando Melo si rifugiò per la prima volta in Germania (prima del 1015), Datto avrebbe trovato asilo a Montecassino presso l'Abate Atenolfo per "relazioni favorevoli dell'Abbazia di Sant'Angelo di Orsara" ottenendo in seguito la concessione a fortificarsi nella torre del Garigliano. I Normanni erano comunque presenti in zona già dall'agosto del 1051 se è vero che nella chiesa del Castrum Monti Ylaris, a poca distanza da Orsara, sarebbe stato ucciso il conte Drogone Normanno (fratello e successore di Guglielmo Braccio di Ferro, morto nel 1046), e annientato tutto il suo seguito ad opera di Riso. Questi, fortificatosi nello stesso Castrum, sarebbe poi stato fatto prigioniero e giustiziato a sua volta come traditore dopo la sconfitta di Argiro. Il territorio sarebbe stato interessato anche dalla fondazione di nuovi centri urbani promossa dai Normanni. Esemplare in tal senso la vicenda di Castellum Novum, sorto nella zona oggi nota come Ripalonga a nord di Orsara. Eretto dal normanno Niellus, figlio di Tristano, che aveva partecipato alla conquista di Benevento e della Puglia, fu donato nel 1065 a Santa Sofia di Benevento da Roberto il Guiscardo residente a Troia. Durante il XII sec. i Normanni hanno ormai preso capillarmente il controllo del territorio. Così nel 1122 Guglielmo d'Altavilla, fratello e vassallo del conte Roberto di Loritello è signore di Biccari. Roberto de Boctio, vassallo di Riccardo de Guasto, possiede Vetruscelle, luogo ad ovest di Orsara, e nella stessa zona il cavaliere Ugo Castelli Potonis è nel 1133 signore del Castrum Crepacordis. In questo contesto caratterizzato, come abbiamo visto, da insediamenti di vario tipo compare per la prima volta nel 1125 il Monastero di Sant'Angelo di Orsara e, non a caso, fra le carte di Troia, centro importante e sede vescovile più vicina; l'abbazia deve aver avuto il suo momento d'oro proprio nel XII secolo. Il 5 dicembre 1127 Onorio II, concedendo diritti e privilegi agli abitanti di Troia, imponeva che tutti i troiani vivessero sotto un'unica legge ed un unico signore; sottraeva a questi obblighi gli uomini pertinenti ai vescovi o abati di S. Nicola, S. Angelo de Ursaria e San Nicola e San Angelo de Rodingo. L'abate di Orsara era quindi indipendente da Troia. Il monastero aveva molti possedimenti nella zona di Montecalvello ed era oggetto di frequenti donazioni. Ad esempio, nel già citato documento del 1125, Guglielmo, vescovo di Troia, chiedeva all'Abate MARTINO di pagare un diritto episcopale annuale di due Romanati, nella ricorrenza dell'Assunzione, per la dedicazione della Chiesa di S. Maria di Montecalvello, di pertinenza dell'Abbazia, e si riservava la possibilità di aumentarlo. Nella stessa zona il Monastero possedeva due pezzi di terra, donati nel settembre 1130 da un abitante di Troia, e alcune terre, citate in un documento del 1132. Sempre a Montecalvello, l'Abbazia, nella persona dell'Abate MARTINO II, acquista, nel marzo 1144, una parte di foresta presso il fiume Sannoro e il Vallone "qui dicitur rivus Vassoni" per costruirvi un mulino, mentre il 10 luglio del 1186 è l'Abate PIETRO ad acquistare altre terre nella stessa zona. Ma i possedimenti dell'Abbazia non erano limitati a Montecalvello ed è del luglio 1146 l'acquisto di una terra presso la fonte di Malo Cor. In una carta del 6 luglio 1172 si apprende che l'Abbazia possiede terre nei pressi di Vaccarizza ed in particolare vicino alle terre "Sanctae Mariae de Vaccaritia" ma anche in "loco ubi dicitur foresta domni Co(n)teri" e nei pressi del "flumen Acelon (is)". A parte la donazione del medico troiano Eneas e sua moglie Marenda, (avvenuta nell'ottobre 1138 sotto l'Abate HERUS, che dimostra il prestigio raggiunto dal Monastero, è degno di nota il fatto che l'Abbazia possedesse delle saline presso S. Leonardo di Siponto (documenti del maggio 1154, novembre 1158 e aprile 1199. Ma se l'abate è citato nel Catalogo dei Baroni ed esercita quindi funzioni signorili, mai sopita è la conflittualità con il Vescovo di Troia. Nel marzo 1159 l'Abate PELAGIO, per porre fine alla contesa sorta sulla questione delle offerte con il Vescovo di Troia Guglielmo III, gli dona una casa, un orto e delle vigne di sua proprietà, site a Foggia. E' opportuno soffermarsi sul documento in quanto, oltre ad apprendere che vecchi patti erano stati già stipulati dal predecessore di Pelagio, GIULIANO I, si viene a sapere che l'Abbazia aveva la giurisdizione su una casa fatta costruire nel territorio di Foggia dall'Abate Martino in onore della Santa Croce "sine episcopali et canonicorum auctoritate" con annesso cimitero. Nel documento si dice inoltre che al vescovo non spettava niente di ciò che era stato lasciato nel Monastero dai servi e dagli uomini "in Hospitalibus nostris obeuntes".I monaci fornivano quindi accoglienza ed ospitalità a uomini che alle volte morivano in loco lasciando i loro beni al monastero. Da questi beni sono distinte nel documento le donazioni fatte al monastero, "sine iudicio", in cibarie, bevande, piccoli doni o elemosine sulle quali il Vescovo non poteva accampare pretese. L'Abbazia, sottoposta direttamente a Roma e indipendente dal Vescovo, quale Abbazia Nullius, è indicata nel LIBER CENSUUM SANCTAE ROMANAE ECCLESIAE in cui, nell'anno 1192, sotto il pontificato di Celestino III, era tassata per un'oncia d'oro; è elencata poi al ventiseiesimo posto fra i "Nomina Abbatiarum et Canonicorum Regularium Sancti Petri ". Ma la grande ricchezza dell'istituto alla fine del XII sec. è messa in luce da un documento stilato a Palermo, il 15 ottobre 1195, dal vescovo di Troia Gualterius, cancelliere e familiare del regno, per conto di Enrico VI. L'imperatore assegna a Sant'Angelo il Casale di San Lupus, nella Diocesi di Troia, in cambio di due casali in terra di Taranto, Maiulanus e Mutata, ceduti in passato come contropartita per un prestito di quattrocento once concesso dall'Abbazia all'imperatore stesso. Una tappa fondamentale nella vicenda storica dell'Abbazia viene introdotta da un documento redatto a Rieti per conto di Papa Onorio III il 28 Agosto 1225: il pontefice conferma al Vescovo Martino e al Capitolo di Zamora in Spagna, alla presenza di numerosi testimoni, la vendita da parte dell'Abate e del Monastero di Sant'Angelo di Ursaria, della città di Bamba, nella "Valle de Scema" in diocesi di Zamora. I legami dell'Abbazia con la penisola Iberica si stringono ulteriormente nel 1229: il 29 marzo, da Perugia, Gregorio IX scrive al Maestro e ai Frati della Milizia dei Calatrava concedendo loro il monastero "S. Angeli de Ursaria Troiane diocesi", su richiesta della Regina di Leon, Teresa e delle sue figlie Sancia e Dulcia avanzata per mezzo di frate Pelagio, Vescovo Albanese e di Egidio,Cardinale Diacono dei Santi Cosma e Damiano. Il Papa, nella speranza che questo affidamento serva ad ampliare ed ingrandire il monastero, invita l'Ordine dei Cavalieri di Calatrava ad inviare ad Orsara chierici e laici dell'Ordine, che vi si stabiliscano e vi diffondano il loro stile di vita religiosa. L'Ordine Monastico-Cavalleresco di Calatrava è poco noto in Italia ed è molto difficile reperire studi che ne trattino in modo specifico. L'Ordine sarebbe stato istituito dal Re di Castiglia Sancho III, nel 1158. Ciò avvenne per la defezione dei Cavalieri Templari che nel 1155 avevano rifiutato di difendere la fortezza di Kalaat Rawah minacciata dagli Almohades. Erano presenti alla corte di Toledo, in quell'epoca, l'Abate del monastero cistercense di Santa Maria di Fitero, Raimondo Serrat, e il frate converso Diego Velasquez, originario di Burreva nella Vecchia Castiglia e, in passato, valente cavaliere; costoro accettarono di difendere Calatrava fondando l'Ordine che venne poi approvato da Papa Alessandro III, il 25/9/1164, e aggregato all'Ordine Cistercense, con l'Abbazia francese di Morimond quale casa-madre. A seguito dei contrasti sorti alla morte dell'Abate Raimondo, fra cavalieri e monaci, i cavalieri si staccarono dai monaci dando origine ad un ordine diverso da quello Cistercense, dal quale pure continuavano a dipendere. Della nuova fondazione facevano parte quindi cappellani (freyles, clèrigos, freyles conventuales), i quali vivevano nel Sacro Convento e nei Priorati, seguendo la Regola Cistercense, e Cavalieri (milites, caballeros) che vivevano nelle commende, dovevano partecipare all'ufficio corale ed erano soprattutto impiegati nella lotta ai Musulmani. Pare invece che l'Ordine non abbia mai svolto attività ospitaliera. Secondo alcuni la presenza dei Calatrava ad Orsara va ricondotta proprio all'impegno dell'Ordine contro i Musulmani e considerata nell'ambito della lotta che il Papa conduceva contro Federico II; in tale contesto è stata considerata anche la vicinanza di Orsara a Lucera, dove l'imperatore aveva cominciato a deportare i Saraceni già dal 1227. Tuttavia non vi sono conferme di un intervento diretto dei Calatrava nelle vicende sveve in Capitanata, neppure quando Federico II distrusse Troia fra il 1233 e il 1234 e quando l'esercito del Papa rinchiuso ad Ariano fu sconfitto da Re Manfredi. La presenza dei Calatrava ad Orsara si può interpretare anche in relazione alle vicende dinastiche spagnole. La Regina Teresa di Leon, postulante per l'affidamento ai Calatrava dell' Abbazia, era stata moglie di Re Alfonso IX di Castiglia. Alla data del 1229 (bolla papale) il matrimonio fra consanguinei dei due sovrani era già stato sciolto e, mentre Alfonso aveva sposato nel 1197 Bereguela di Castiglia, Teresa- proclamata poi Beata nel 1705 -, era entrata nel Monastero Cistercense di Villabuena in El - Bierzo da lei fondato. I due sovrani avevano avuto comunque tre figli: Sancha, Ferdinando e Dulce, e Alfonso nel 1220 aveva nominato sue eredi proprio Sancha e Dulce, che appaiono insieme alla madre Teresa nell'atto che riguarda Orsara. Si è fatta l'ipotesi che le principesse avessero voluto in tal modo assicurarsi l'appoggio dei Cavalieri di Calatrava nella lotta contro Ferdinando per il regno di Leon. Nel 1230 però, alla morte di Alfonso IX, il nuovo re fu Ferdinando III che sancì l'unione della Castiglia e del Leon e concesse in cambio alle legittime eredi una ricchissima dote. Probabilmente si riferiscono al periodo di permanenza dei Cavalieri, in complesso piuttosto oscuro per mancanza di documentazione, le due iscrizioni presenti nella Chiesa dell'Angelo, che fanno riferimento ad un abate PETRUS di Leon, promotore di lavori nella chiesa la cui origine spagnola viene esplicitamente sottolineata. Nella prima iscrizione si legge: " + HOC OPUS EXTRUXIT SAPIENTER LEGIONENSIS / PRUDENS AT(QUE) PIUS PETRUS ABBAS URSARE / EST INDIVIDUE SUB TRINITATIS hon(ORE) / hoc TEMPLUM FACTUM NITIDO PLACIDOQ(UE) DECORE". La seconda iscrizione giuntaci frammentaria, corre intorno ai argini di una lapide raffigurante un prelato; l'immagine è mutila e non possiamo più riscontrare gli attributi del potere abbaziale -mitra, baculo, dalmatica, croce pettorale, anello e coturni che la storiografia locale menziona. Il testo completo ci è giunto nella trascrizione del De Stefano e di Del Giudice: "Magni Christi gratie fidei nostrae anno 1003 Indictione 12 primo idibus Decembris hoc sepulcro templo hoc sepultus Petrus Abbas Ursariorum. Petrus Abbas Legionensis hujusmodi sculptum depinctum vidit templum ". La data 1003 non è più verificabile; inoltre, dal punto di vista paleografico, entrambe le iscrizioni sono state datate fra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo. Al periodo di permanenza dei Calatrava ad Orsara la tradizione locale attribuisce un documento non rintracciabile che sarebbe stato emesso da Re Manfredi il 17/12/1259. In questo documento si sarebbe affermato che la Chiesa di Sant'Angelo di Orsara "de Ordine Calatrabe" veniva da Manfredi confermata, attraverso una lunga prova testimoniale, nel possesso di un "Casale Fragagniani situm in terra Hidronti" e di una chiesa chiamata S. Maria de Ponto sita in Brundisio. Non è possibile dimostrare l'autenticità del documento ma la notizia del possesso di un Casale a Fragagnano, in terra d'Otranto è indirettamente confermata da un documento emesso da Bonifacio VIII a Roma in Laterano il 2 febbraio 1295 di cui ci occuperemo più avanti. Il 25 novembre 1274, Carlo I d'Angiò, su richiesta del Gran Maestro dell'Ordine di Calatrava di Orsara, conferma al Monastero il possesso di alcune terre nella zona di Mons Ilares. L'istituto aveva dovuto infatti subire le molestie di un tal Symon de Caprosia che quale Signore di Mons Ilares ne rivendicava il possesso. Non si sa con precisione quando i Cavalieri lasciarono il Monastero di Orsara; la tradizione locale riferisce per lo più l'allontanamento all'anno 1294 quando i Cavalieri sarebbero stati richiamati in Spagna per aiutare i loro confratelli nella lotta contro gli Africani invasori. Nel 1295 il Monastero non era più nelle mani dei Calatrava in quanto Bonifacio VIII il 2 febbraio di quell'anno lo concesse a vita all'Arcivescovo di Trani Filippo con tutti i beni che erano stati dei Calatrava nelle città di Brindisi, Troia, Orsara, Fragagnano e altrove in Puglia, Sicilia, Calabria e Romagna; Carlo II d'Angiò, su richiesta di Filippo, ordinava che gli fosse confermata l'onnimodo diritto di feudo sopra la terra di Orsara ed i Casali di Pontealbaneto, Castelluccio Valmaggiore e Montecalvello che possedeva "Ratione Domus Ursarie Calatrabensis Ordinis". L'Arcivescovo Filippo però morì subito dopo. Poco dopo, fra il 1298 e il 1300 il Gran Maestro Spagnolo dell'Ordine di Calatrava, GARCIA LOPEZ DE PADILLA, ricevette i feudi spagnoli di Colledo, Sabiote e Cogolludo, oltre alla città di Santo Stefano di Aznatoraf in Siria in cambio "del Monastero e Chiesa di Sant'Angelo di Orsara" da Ferdinando IV di Leon e Castiglia, il quale li avrebbe acquistati per la madre Maria. La storiografia locale afferma che in questo modo si sarebbe costituito il diritto di Regio Patronato che avrebbe comportato la nomina regia dell'Abate Rettore commendatore ma riferisce pure che nel 1300 la Domus S. Angeli di Orsara era compresa nell'elenco delle Chiese di Regio Patronato fatto compilare dal re di Napoli Carlo II d'Angiò in quell'anno. Si evidenzia quindi una confusione sulla situazione giuridica dell'Istituto, che attraversa un periodo oscuro difficilmente ricostruibile attraverso la documentazione superstite. La tradizione locale parla di un affidamento per alcuni anni ai Cavalieri Templari e, sotto il pontificato di Clemente V, del trasferimento al Re di Napoli del diritto di eleggere l'Abate Mitrato con potere equivalente a quello vescovile. L'ultimo Abate sarebbe stato D. PLACIDO BARBONE del quale si sarebbe potuta vedere la tomba con lapide fino al 1753. Numerose furono nei secoli le dispute con l'Arcivescovo di Troia per conservare l'indipendenza da quella sede vescovile. Le fonti documentarie sono scarse e l'unico aiuto è fornito dalla storiografia locale che, avendo un interesse immediato e partigiano nel ricostruire la storia dell'autonomia dell'Istituto attraverso i secoli, ricercò, studiò ed elencò minuziosamente tutto quanto poteva essere utile allo scopo. L'aspetto che emerge chiaramente comunque è la decadenza progressiva del complesso abbaziale e la sua emarginazione anche rispetto al paese. I Re di Napoli vengono spesso citati dagli storiografi locali nelle vicende relative alla nomina dei Rettori e degli amministratori locali, fino alla descrizione di una complicata serie di avvenimenti in seguito alla quale Ferdinando I d'Aragona, all'indomani della battaglia del Sannoro, avrebbe concesso l'Abbazia al Vescovo di Troia intorno al 1464. Da questo momento fino per lo meno al 1762 pare che rettori dell'Abbazia di Sant'Angelo siano stati sempre, nominati dal Re, i Vescovi di Troia. In questi anni il paese di Orsara era passato dal possesso dei Cavaniglia a quello dei Guevara. Del Giudice menziona un atto del notaio Gregorio Russo di Napoli col quale il paese, insieme a Montellere e Montepreise, era stato venduto da Troiano Cavaniglia a Giovanni I Guevara, per sedicimila ducati, il 29/12/1524.A questo avvenimento sono forse da collegare alcune modifiche nella sistemazione della grotta dell'Angelo, testimoniate da una lapide, oggi murata nella grotta, che porta la data del 1527.Fra gli interventi promossi dai Guevara va sicuramente annoverata una fontana monumentale, di fronte all'edificio già abbaziale. Venne costruita nel 1547, come riportato dall'iscrizione murata all'interno : "URSARIENSES HUNC PERENNIS AQUAE FONTEM GUEVARAE IUSSU STATUERUNT MCCCCCXXXXVII". Nel 1663, poi, la fonte dovette essere fornita di un loggiato a doppia arcata, come riportato dall'iscrizione sul frontone : " D. FRAN GUEVRA BOCOPAG DUCIS BIBINI FIL UTILIS DOM URSAE IVCFOE INSBLEDIOR CULT SUBTB SUIS ERIGIV AN 1663 ". Francesco Guevara, l'unico feudatario che abbia risieduto stabilmente ad Orsara aveva ricevuto la città ed altri territori dal fratello primogenito Carlo Antonio, in cambio di un legato testamentario di quarantamila Ducati che questi non aveva potuto pagargli nel 1649, alla morte del padre Giovanni III Guevara, feudatario di Orsara. Secondo la storiografia locale egli avrebbe acquistato dal Clero di Orsara il Palazzo dei Calatrava, in cambio di un appezzamento di terreno di cinquantacinque versure in località LAURA. Nel 1590 si era verificato lo spostamento della sede parrocchiale del Capitolo di Orsara dalla Chiesa dell'Angelo a quella di San Nicola di Bari, con il mantenimento del titolo di Sant'Angelo e del sigillo con l'effigie dell'Arcangelo Michele e la legenda "Capitulum Sancti Angeli de Ursaria". Lo spostamento comportò il trasferimento degli arredi sacri con il fonte battesimale, la statua dell'Arcangelo ed il monumentale coro ligneo. La chiesa dell'Angelo comincia in questo momento della sua storia ad essere indicata come chiesa dell'Annunziata forse perché, dopo lo spostamento della sede parrocchiale, vi sarebbe rimasta la Cappella della Congregazione della Santissima Annunziata nella quale alcuni preti officiavano per mantenere viva la tradizione; in questa nuova situazione poteva più facilmente assumere la veste di cappella di Palazzo, direttamente collegata alla dimora del feudatario; non ci sono comunque notizie certe sugli interventi operati dal Duca di Bovino. All'inizio del 1700 il Capitolo di Orsara non officiava più, tranne che in circostanze particolari, nella vecchia chiesa abbaziale e il Clero non risiedeva più nell'edificio che era stato la sede monastica. Il complesso aveva perso del tutto la sua funzione primitiva e il Clero non era più di tipo regolare ma secolare. Il Capitolo di Orsara, però, ha sempre rivendicato la sua indipendenza nei confronti delle pretese del Vescovo di Troia riallacciandosi alla tradizione di passato splendore e autonomia dell'Istituto Abbaziale. In questo contesto si inserisce la vicenda di D. FRANCESCANTONIO FATTORE unico canonico di Orsara che abbia ottenuto il Rettorato dell'antica Abbazia nel 1769. Alla sua morte (Novembre 1784) l'Abbazia sarebbe tornata ai vescovi di Troia. Il complesso, sviluppatosi probabilmente intorno al fulcro della grotta di S. Michele, sorge sul fianco scosceso di un vallone. L'accesso non deve essere stato facile fino alla sistemazione attuale, che ha comportato opere di consolidamento del terreno franoso e la creazione di terrazze e scale di collegamento fra le varie parti del complesso. Questi lavori però hanno reso difficile la lettura della situazione originaria e hanno inglobato, ricoperto o addirittura disperso importanti testimonianze del periodo di maggiore splendore dell'Abbazia dell'Angelo. Del Giudice, ad esempio, ricorda che presso il cancello di accesso alla grotta ed ai giardini pubblici (lato sud della Chiesa dell'Angelo) furono costruiti, per colmare il dislivello, degli scalini con pietre staccate alla Chiesa e quindi, ai suoi tempi si camminava su pietre incise o "istoriate" per entrare nel giardino pubblico; menziona anche l'antica mensa d'altare riadoperata per farne un balcone e capitelli usati come ciminiera in una casa di contadini. I lavori si sono svolti sia intorno agli anni '30 sia verso la fine degli anni '60; oltre alla sistemazione dell'accesso, tutte le strutture del complesso e gli spazi esterni sono stati fatti oggetto di consolidamenti, modifiche, aggiunte e abbellimenti che hanno alterato il complesso di fabbriche. Maggior chiarezza sulle vicende costruttive dell'Abbazia potrebbe venire da ricerche archeologiche nelle aree non edificate, la pinetina, contigue alla chiesa; i risultati si aggiungerebbero a quelli dei saggi di scavo effettuati all'esterno della chiesa durante la campagna di restauro tuttora in corso. Potrebbe essere utile anche una raccolta di superficie lungo il fianco del vallone sottostante il complesso, oggi ricoperto da una piccola pineta, dove potrebbero essere rinvenuti frammenti trascinati a valle, per effetto del dilavamento. Una ricerca di questo tipo è stata tentata qualche anno fa, in concomitanza con l'operazione di rimboschimento lungo il fianco del vallone, fino al canale che scorre sul fondo, ma pare con esito negativo, forse anche perché eseguita da personale non specializzato. L'Abbazia deve essere stata costruita prima del 1125 a ridosso della Grotta dell'Angelo, fulcro religioso e luogo di culto per antica tradizione. Non vi sono notizie relative all'origine della devozione micaelica in questo luogo, ma indubbiamente la grotta di Orsara si collega al Santuario del Gargano e costituisce una fra le numerose repliche della Sacra Grotta, come ad esempio la Grotta di S. Michele a Cagnano ed il Santuario di S. Michele a Monte Laureto. La grotta di Orsara è in parte di origine naturale, in parte è stata adattata per le esigenze del culto scavando la roccia. Si presenta come un'unica navata irregolare, orientata in senso est-ovest. Da ovest si accede alla grotta attraverso una chiesa subdivale con funzione di vestibolo; sul lato sud, un arco grosso modo ogivale, in parte scavato nella roccia e nella zona superiore sistemato con laterizi, costituisce forse l'ingresso originario. Vi si giunge da una tortuosa scala, anch'essa scavata nella roccia, denominata Scala Santa, che esce all'esterno verso il lato dell'Abbazia. La grotta dell'Angelo presenta un soffitto in roccia naturale, solo parzialmente sistemato con escavazione, che si configura, verso ovest, grosso modo come una volta a botte; nella zona del presbiterio si abbassa e diventa un soffitto piano inclinato da Nord verso sud. La zona presbiteriale presenta ai lati due strette aperture ogivali che affiancano l'altare sul quale si apre una nicchia che, durante la festa di S. Michele, ospita la statua dell'Arcangelo. Lo spazio dietro l'altare si presenta come uno stretto deambulatorio scavato nella roccia. Le sue pareti ed il soffitto mostrano infatti ancora numerose tracce del lavoro di scalpellatura che lo ha reso quale oggi si presenta. Le due strette aperture di entrata a questo varco sono invece definite da sottili mattoncini che caratterizzano anche altre parti del complesso. La zona presbiteriale deve essere stata più volte rimaneggiata e i due accessi in questione, insieme a quello che immette alla Scala Santa, e probabilmente la Scala stessa, potrebbero essere riferiti, per l'uso dell'arco ogivale, ad una sistemazione forse tardo-duecentesca ad opera dei Cavalieri di Calatrava che risiedevano in quell'epoca nell'Abbazia. Tali interventi andrebbero collegati, a mio parere, ai lavori che negli stessi anni si stavano svolgendo a Monte Sant'Angelo. Mi riferisco ai lavori promossi da Carlo I d'Angiò nel Santuario dell'Arcangelo, in modo particolare alla sistemazione della scala coperta di accesso alla navata, che potrebbe essere stata modello per la Scala Santa di Orsara. Maria Stella Calò Mariani data questo intervento, che comportò anche la copertura delle strutture longobarde, la costruzione della navata addossata alla grotta ed il campanile, intorno agli anni '70 del 1200 e pone l'accento sull'intonazione cistercense della navata. A mio parere anche Orsara deve essere stata interessata, in un periodo di poco posteriore (prima del 1295), da una serie di interventi promossi dai Cavalieri di Calatrava che appartenevano all'ordine Cistercense, al quale bene si addice la sobrietà delle soluzioni adottate. L'altare, seicentesco, è costituito da una mensa di marmo retta da due mensole simmetriche con profilo concavo e convesso che conservano tracce della dipintura originale. Anche il paliotto è in pietra, un tempo dipinta, e reca incisa una decorazione costituita da un rosoncino centrale da cui si dipartono volute vegetali; sui margini, fra le volute, compaiono due uccellini. Il pannello è riquadrato da un listello anch'esso inciso, originariamente dipinto in marrone.

Nei pressi della cittadina di Orsara in epoca romana esistevano. a Monte Squarciello " una villa "; a Masseria Magliano, 1 km a SE della Masseria Belladonna, una " grande villa con necropoli "; a Cervellino, 2.5 km ad E di Orsara e a S di Monte Vrecciaro, una " fattoria " da cui provengono un bel mosaico e una status acefala di un togato. Proprio in questi giorni in località Cervellino, Fontana dell'Ospedale, luogo da cui provengono l'epigrafe riportata dal Mommsen nel C. I. L., la statua acefala custodita nel museo diocesano, è venuto alla luce uno stupendo esemplare di bronzetto votivo raffigurante Apollo pitico, l'Apollo che uccide il serpente avvinghiato ad un tronco. Il bronzetto, in ottimo stato di conservazione, è , però, privo dell'avambraccio sinistro e, forse, anche del tronco intorno a cui era attorcigliato il serpente. Il taglio degli occhi e la capigliatura lo ricollegano senza ombra di dubbio alla Magna Grecia, a quei coloni che su queste balze ebbero contatti con il popolo dauno, prima, e con i sannita poi. Esso inoltre, ci dà una ulteriore conferma che la zona era venerato in maniera particolare Apollo e che vi era un tempio. I bronzetti votivi, infatti, venivano collocati nei templi. Questo ritrovamento riveste una particolare importanza perché è strettamente legato agli altri ritrovamenti: l'ara di Apollo, la scritta ellenistica e l'OYNOKAY rinvenuto a ridosso dell'abitato. Ciò non solo avvalora l'ipotesi di un'origine antica di Orsara ma ci permette di sperare in ritrovamenti ancora più importanti se si sensibilizza l'opinione pubblica e se si avvia una campagna di scavi in alcune zone del territorio, non ancora profanate dalla mano dell'uomo. Nelle prime decadi dell'Anno Mille alla testa del torrente Lavella non vera che "una spelonca" detta di "Ursaria". Non sappiamo, però, se in quella spelonca o grotta fosse già nato il culto a S. Michele Arcangelo, che la lettera di Papa Gelasio I per un'altra località fa risalire alla fine del V secolo (492-496) e che la devozione dei Longobardi fissò anche nelle grotte più profonde e sulle cime dei monti più alti. Dai documenti dell'XI secolo in poi si sa che qui nel 1059 vi era il monastero dei S.S. Nicandro e Marciano;1064 il monastero suddetto si trovava ai piedi di Monte Maggiore; 1080 il monastero è donato da Roberto il Guiscardo all'abate di Montecassino, Desiderio.1125 ai tempi del vescovo di Troia Guglielmo II (normanno) l'ex monastero dei S.S. Nicandro e Marciano diventa di S. Angelo di Ursaria e il suo primo abate e un certo Giuliano;1131 il monastero di S. Angelo di Ursaria riceve una donazione di terreni, siti in località Montecalvello, dal troiano Bertolotto;1139 Enea, medico troiano, e la moglie donano tutto quello che hanno al monastero di S. Angelo di Orsara;1144 1'abate di S. Angelo di Orsara compra la foresta di Monte Calvello (presso Orsara);11461'abate di S. Angelo di Orsara, Martino II, riceve in donazione altri terreni in contrada Monte Calvello;1159 dopo una lite, il vescovo di Troia Gughelmo III 1'Almifico e 1'abate di S. Angelo di Orsara raggiungono un accordo;1186 la troiana Caitelgrima dona tutto ciò che ha a Pietro, abate di S. Angelo di Orsara; ..." la chiesa di S. Nicandro con la terra in cui e fondata e con i seguenti confini: superiormente, cominciano dalla sorgente del Salice e vanno al torrente Lavella, salgono al Monte Procaso, costeggiano per un tratto la selva di Orsara e si girano fino a raggiungere il primitivo confine";1290 (da un transunto dell'Archivio Capitolare di Troia): " Si proibisce a chiunque di molestare i beni che il monastero di S. Nicola di Troia possiede in Orsara ";1343 papa Clemente VI (Pierre Rogier, francese) da Avignone incarica il canonico decano di Troia di indagare perché il clero di Orsara, di Pontalbanito e di Castelluccio Valmaggiore si rifiutano di obbedire a Ruggero Frezza, rettore di S. Nicola Calatrava di Troia e di S. Angelo di Orsara (si tratta di un parente di Enrico Freccia da Ravello, vescovo di Troia dal 1341 al 1361?); 1347 Clemente VI ordina ad Enrico Frezza o Freccia, vescovo di Troia, di aprire un'inchiesta su Berardino Beraldi di S.Giorgio e su Mattia di Gesualdo abitanti rispettivamente a Monte Ilari e a Ripalonga, due castelli di Troia, perché secondo le accuse del Cardinale presbitero Francesco Maria da Cosmedina, amministratore di S. Nicola di Troia e di S. Angelo di Orsara dell'Ordine dei Calatrava, commettono soprusi sui loro terreni. 1353 papa Innocenzo VI obbliga il clero di Orsara, di Castelluccio Valmaggiore, di Biccari, di Crepacuore e di Pontalbanito a sottomettersi al vescovo di Troia; 1360 gli arcipreti di Orsara, di Castelluccio Valmaggiore e di Pontalbanito vengono costretti ad ubbidire al vescovo di Troia; 1375 Guido, vescovo di Troia, raggiunge un accordo con il clero di Orsara e con quello di Castelluccio Valmaggiore; 1458 papa Pio II invia lettere apostoliche al clero di Orsara affinché si risottometta al troiano Giacomo Lombardo, vescovo di Troia (1435-1469); 1507 (dal rapporto di Don Mauro, cellerario di Montecassino): "...in lo territorio de Troya ey la prepositura de Sancta Nicandro la quale hora e facto castello et terra murata et bona cosa, la quale e membro del sacro monastero (di Montecassino) et tenelo lo figlio de Antonello Pizzolo, allevo del duca de Calabria "; 1575 Prospero Rebiba, vescovo di Troia, nomina don Angelo la Pia arciprete di Orsara. Come si può notare dai documenti: le liti avvennero solo tra il clero di Troia e quello di Orsara. Molti Troiani, invece, donarono le loro proprietà anche al monastero di S. Angelo di Orsara. Perciò si può affermare che il territorio di Orsara si è formato grazie alle donazioni dei cittadini di Troia, oltre che con i beni del monastero di S. Nicandro e della chiesa di S. Nicola. Sul monastero di S. Nicandro e chiesa di S. Nicola. Monastero e chiesa fin dal 1080 avevano i seguenti confini:(S. Nicandro) " I confini di S. Nicandro partono ad Oriente dalla base di Monte Maggiore dal punto in cui 1'acqua si raccoglie con la lancella e vanno alla sorgente di S. Nicandro fino al torrente Lavella, ai piedi della selva di Orsara; poi salgono al monte fino alla riva pietrosa; dall'altra parte del monte, discendono al vallone e lo seguono fino alla via pubblica che va al monte Peselo; poi, seguendo la costa di Monte Maggiore, arrivano alla sorgente che si chiama del Salice; e lungo la costa vanno oltre S. Nicandro, proseguendo in mezzo a1 pantano detto " la fossa " e discendono al vallone da dove raggiungono il punto di partenza ".S. Nicola): " I confini della chiesa di S. Nicola partono ad Oriente dalla stradella che viene dalla costa del tenimento di Troia e vanno fino al torrente Sannoro; attraverso la mezzana vanno lungo il torrente fino al guado di Troia dove la via pubblica; superano il guado fino alla terra di Basilio e da questa raggiungono le acque del torrente Cervaro dove si trovano le terre e le isole di Giovanni De Roccia; poi, dal torrente Cervaro raggiungono il guado di Giovanni Pipino o Pipe; e attraverso la stradella, vanno fino al torrente Sannoro da dove raggiungono il punto di partenza.

Ultimo aggiornamento Domenica 21 Febbraio 2016 10:19