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La comunità valdese di Orsara

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Tra Irpinia e Capitanata la storia di una comunità religiosa e civile che ha le sue radici nel Medioevo

«Il delegato di Pubblica Sicurezza Mariani, inviato dal Sottoprefetto di Ariano ad Orsara di Puglia per il mantenimento dell’ordine pubblico, fu colpito con un pugno al volto da una donna, perché scambiato per dimostrante valdese». Era il 13 marzo 1914. Così racconta Maria Adelaide Rinaldi Lupi nella sua tesi di laurea in Teologia, dedicata alla storia della cittadina in cui è stata anche Pastore. Quel giorno a Orsara, sul Subappenino dauno, ci furono scontri, feriti leggeri, alcuni arresti, sassaiole. Nulla di irreparabile, sebbene i ricordi - soprattutto tra gli anziani - siano ancora vivi. Tuttavia questa vicenda, una delle tante che hanno segnato la vita della piccola comunità appollaiata tra Irpinia e Capitanata, segnala una circostanza storica semisconosciuta: in quel piccolo laboratorio è stata sperimentata per molto tempo (oggi se ne valutano i buoni risultati) la possibilità di far convivere, in Italia, cattolici e protestanti, rappresentati dalla dinamica e antica Chiesa valdese. E tuttora Orsara è il cuore della comunità valdese di Puglia, dalla quale sono nate comunità minori a Foggia e a Cerignola. Attualmente i valdesi di Orsara iscritti nell’albo della chiesa locale - un piccolo edificio in corso Vittorio Emanuele, edificato nel 1932 - sono una quarantina, cui vanno aggiunti una ventina di simpatizzanti; a Foggia sono circa trenta, più altri trenta simpatizzanti. Tutti sotto la guida di un Pastore che si chiama Jean-Félix Kamba Nzolo: è nato in Congo trentasette anni fa, da 17 anni è in Italia, è sposato con una connazionale, ha una figlia e un altro bimbo in arrivo, è stato assegnato a Orsara e Foggia nel luglio scorso dalla Tavola valdese. Già la presenza di questo Pastore la dice lunga sull’apertura mentale dei valdesi (non solo quelli pugliesi), che non a caso sono in prima fila da sempre nelle lotte politiche e sociali italiane: uno dei più noti è l’ex ministro socialista Valdo Spini, figlio dello storico Giorgio Spini. Ma come sono finiti lassù quei valdesi, il cui nucleo storico è nelle valli piemontesi Pellice, Angrogna, Chisone e Germanasca, dove hanno resistito a secoli di persecuzioni? Le prime comunità in Capitanata risalgono al Quattrocento. Vi giunsero al seguito degli Angioini. Ma nel Cinquecento furono cancellate, spesso con le cattive maniere, dal Sant’Uffizio. Passarono 300 anni. E accadde che il 13 febbraio 1900 alcuni ex emigranti orsaresi, che avevano conosciuto la chiesa protestante negli Usa, fondarono la Chiesa Valdese di Orsara. Con reazioni non sempre tolleranti da parte del clero e della comunità cattolica. Eppure riuscirono ad influenzare molto la vita sociale e politica. Vari sindaci del Dopoguerra furono valdesi, votati anche dai cattolici: è il caso dell’avvocato Pietro Antonio Loffredo, eletto nel 1947. Inoltre alcuni valdesi furono tra i rifondatori del Pci e del Psi. Non a caso, Orsara è stato uno dei rari comuni del Sud in cui si votò a grande maggioranza a favore della Repubblica. Quando i valdesi ricomparvero ad Orsara, questo centro agricolo - che tra 1861 e 1927 fece parte della provincia di Avellino - era in subbuglio: era un periodo in cui «le masse contadine lottavano duramente da decenni per la conquista di vasti latifondi nobiliari semi-incolti. Per stroncare le lotte, nel 1909 il paese dovè essere assoggettato per parecchi mesi ad una vera e propria occupazione militare, ma la complessa e controversa questione era destinata a ripresentarsi, in tutta la sua drammaticità, all'indomani della Grande guerra» (da Chiesa e società in Irpinia dall’Unità al fascismo, di Francesco Barra). Finché nel 1908 giunse un nuovo arciprete, Teodorico Boscia, che, scandalizzato dalla diffusione dei valdesi, scrisse di aver trovato «il vero regno della desolazione», con la «Chiesa Matrice ridotta peggio di una cantina, nessuna istruzione catechistica, funzioni religiose trascurate, una chiesa protestante con molti proseliti ed, in generale, un certo indifferentismo religioso». Don Boscia si dette da fare, con notevole verve polemica. Cosicché, scrive Barra, «lo scontro tra il forte movimento valdese e le riorganizzate forze cattoliche divenne presto, nell’incandescente clima locale, inevitabile, e spesso degenerò fino ad assumere toni, specie da parte cattolica, di aperta intolleranza». «Basterà - si legge - ricordare le massicce manifestazioni popolari, a cui parteciparono oltre mille persone, organizzate nel giugno del 1913 dall'arciprete Boscia per protesta contro lo svolgimento del congresso provinciale valdese, e gli analoghi episodi del febbraio 1914, con dimostrazioni valdesi e controdimostrazioni cattoliche in occasione della ricorrenza dell’editto di emancipazione di Carlo Alberto». Fu proprio in quell’occasione che la focosa signora cattolica stese con un cazzotto il delegato di Pubblica sicurezza Mariani. Oggi la comunità valdese di Orsara, «capitanata» dal Pastore Kamba Nzolo, continua a conservare la propria confessione, la propria tradizione e la propria vivacità. «Purtroppo c’è stata, e c’è ancora, molta emigrazione, come capita nel Sud d’Italia. E così la comunità si è ridotta molto negli anni», dice il Pastore. Adelina De Angelis, maestra, è una delle animatrici: «Ci confrontiamo con i cattolici, costantemente, cercando di conservare la consapevolezza del fatto che abbiamo la stessa matrice religiosa cristiana». E ricorda la buona volontà che è stata necessaria per mantenere viva la comunità anche quando non c’è stato un Pastore:«Qui i pastori ci stanno poco. Siamo troppo piccoli e periferici», dice la maestra. Ed Elena Ventrudo, nota come «zia Elenuccia», 78 anni, ricorda ancora le sassate ricevute dalla madre; e quando, in occasione del suo matrimonio, il 21 agosto 1944, l’arciprete cercò di farle sottoscrivere una dichiarazione: «Mi si chiedeva di abiurare la fede valdese». Così non vi sposaste subito? «Eccome se ci sposammo! Ma in Comune!».