prof M. Cappiello

Michele Cappiello

APPUNTI

PER UNA CRONISTORIA

DI ORSARA

a cura di Ileana Cappiello

Prefazione

 

   Questi appunti, ritrovati tra le carte ingiallite del prof. Michele Cappiello, raccolgono sensazioni, memorie personali e storiche, cronache e curiosità e dovevano di certo costituire il materiale per una cronistoria di Orsara, che non sappiamo per quale motivo egli non trovò il tempo e l’opportunità di scrivere.

      Essi oggi vengono fatti stampare dall’unica figlia superstite in Italia, che vuole così onorare, nel modo a Lui più congeniale, la memoria del Padre.

      Sono dedicati a tutti gli Orsaresi perché rimanga in loro la memoria di un Uomo che ha onorato il suo paese e l’Italia e perché da questa lettura esi si sentano sollecitati a un maggiore interesse per la loro piccola patria e, qualcuno, anche incoraggiato ad ampliarne ed approfondirne la storia.

      È scritto in uno di questi appunti:

      “Chi ignora la storia del proprio paese è un fanciullo, una donnicciuola sciente appena dei patrii Lari e dei giorni suoi; è un Tobia bisognoso di guida, un selvaggio che ravvisa come solo centro la sua capanna, è un uccello fuori nido, un agnello fuori ovile, un pesce fuori acqua. Il cittadino, invece, che la storia conosce, può riandare ai patrii luoghi, le vicende ridirne, immaginarsi presenti i secoli trapassati, redivivi i nostri avi, spettatori di noi nipoti, che respiriamo le loro aure vitali, professiamo i loro riti; le loro mura e contrade abitiamo; prolunghiamo la loro prosapia; eredi siamo dei loro nomi, onori e beni; ci specchiamo nei loro meriti e fasti; i campi coltiviamo dai loro sudori bagnati; i tempi frequentiamo da essi eretti per deposito della nostra religione, delle loro ceneri che dai loro sepolcri ci rammentano di chi siamo figli. A tale ipotesi non può non accendersi in noi l’entusiasmo il più vivo della Patria”.

      Un pensiero grato e commosso alla signorina Adriana Cappiello che con solerte entusiasmo si è adoperata per questa iniziativa e a cui un destini crudele ha impedito di vederla realizzata.

      Un vivo ringraziamento all’avv. Leonardo Cotugno, che pazientemente ha trascritto questi appunti.

      Le note esplicative da lui apposte recano la sigla L.C. in parentesi.

      Io ho curato l’edizione, intervenendo pochissimo sul testo, per doveroso rispetto all’autore, e per lasciare a quest’opera la sua freschezza originaria e il suo valore di testimonianza di un’attenzione lunga ed appassionata.

      Gli spazi vuoti e i puntini sospensivi rappresentano progetti di ricerca, che toccherà ad altri portare a termine, se sarà ancora possibile.

      Ho creduto opportuno aggiungere qualche altra nota e un’appendice


 dove gli argomenti trovino una loro unità e organicità, per rendere più facile la consultazione dell’opera.

      Copia fotostatica del manoscritto sarà depositata presso la Biblioteca comunale e la numerazione a sinistra delle pagine stampate fa ad essa riferimento.

Ileana Cappiello


Breve nota biografica e bibliografica dell’Autore

 

a cura di Ileana Cappiello

 

Michele Cappiello nacque ad Orsara di Puglia, allora provincia d’Avellino, l’11/10/1861.

Conseguita a diciannove anni presso la R. Scuola Normale di Foggia la Patente di maestro elementare di grado inferiore, e, a venti, quella superiore normale, iniziò subito la sua attività di insegnamento che svolse sempre in Orsara, salvo una breve parentesi dal 1887 al 1890 a S. Marco in Lamis (Foggia).

Contemporaneamente frequentava, nel 1889, il primo corso nazionale di Lavoro manuale in Ripatransone, ottenendo, col massimo dei voti, il Diploma di abilitazione nelle elementari. Analogo titolo, ma per le Normali, otteneva in Avellino nel 1904.

E di corsi nazionali di lavoro egli fu anche insegnante, al IV del 1892 a Ripatransone, al I di Avellino nel 1902, al III e al IV di Avellino rispettivamente negli anni 1904 e 1905.

Infine nel 1908 diresse il V corso inferiore e superiore di lavoro manuale in Avellino.

Dal 1890 al 1897 esercitò, per incarico del Comune e a titolo gratuito, le funzioni di Direttore didattico e, grazie alla sua intelligente e vulcanica attività, rese queste scuole le prime del Circondario, dotandole, a sue spese, di una scuola di lavoro manuale, di una biblioteca circolante, per la quale sollecitò e ottenne aiuti da tutta Italia, di un Museo scolastico.

Nel 1897 questo incarico non gli fu rinnovato perchè fu soppresso l’Ufficio. Ma egli lo riprese nel 1910, finchè nel ’21, a seguito di un concorso vinto, unico dei concorrenti della Provincia di Avellino, divenne direttore didattico governativo, con giurisdizione su sette Comuni.

Il primo novembre del 1928 venne collocato a riposo su domanda, a 67 anni di età e a 43 di servizio attivo, prestato con passione e fedeltà a favore dell’educazione italiana, come egli annotava nel suo stato di servizio. E aggiungeva: “Vissuto nella Scuola e per la Scuola, attende ora ad altri lavori didattici, linguistici e storici che arricchiranno la lunga serie delle sue pubblicazioni, già lodate ed apprezzate da Autorità, da esperti e dalla stampa come da innumeri attestati”.

Non si poteva in maniera tanto sintetica dire di più e meglio.

Centinaia furono gli articoli, di argomenti pedagogico, didattico, storico e sociale, da lui pubblicati su giornali e riviste del Regno, essendo stato dal 1908 al 1914 anche direttore de “Il Faro”, organo della Federazione magistrale irpina; altrettante sono le citazioni che egli meritò sulla stampa specializzata, e non solo italiana.

Numerose le opere edite, nessuna di gran mole ma che, nel loro insieme, testimoniano l’ampiezza e la modernità dei suoi interessi e della sua cultura e lasciano intravedere la genialità e l’efficacia della sua azione educativa.

L’elenco completo delle pubblicazioni è riportato in calce a questa nota, insieme a quello delle onorificenze e dei riconoscimenti.

Tra le opere, non poche sono dedicate al lavoro manuale scolastico, che per lui era non solo efficace mezzo di educazione, ma anche momento importante di preparazione ad una attività lavorativa libera e consapevole.

Per facilitarne l’introduzione nelle scuole materne ed elementari senza eccessivo dispendio per la comunità, inventò e fece costruire un banco completo. Esso era dotato di piccoli congegni meccanici che modificavano l’inclinazione del piano di appoggio e la distanza del sedile in modo da permettere che ogni attività scolastica, lettura, scrittura, disegno geometrico e ornato, lavoro, anche di officina, si svolgesse nelle condizioni più favorevoli per l’attività stessa e per il fanciullo.

Negli asili infantili, esso poteva addirittura trasformarsi in un lettino per il riposo dei più piccini.

Per questa invenzione geniale ebbe alti ed ampi riconoscimenti in campo nazionale ed internazionale. Meritò, infatti, lode speciale nel “Bollettino del Laboratorio di Pedagogia scientifica di Crevalcore” (fasc. V, 1903) ed ebbe registrato il suo nome accanto a quelli degli illustri dottori Pagliani, Beltrame e Celli che trattarono a fondo l’importante problema (Dizionario illustrato di Pedagogia, diretto in Milano dall’On. Credaro e dal Prof. Martinazzoli; fasc. VI, pag. 132).

Un esemplare di questo banco è conservato dalla  figlia Italia, che ha intenzione di donarlo al Museo diocesiano S. Angelo di Orsara.

Ma il lavoro manuale scolastico, per lui, in zone come Orsara e il Subappennino in genere, doveva essere finalizzato soprattutto alla pratica agricola, per la quale il banco sia pure completo non poteva essere di certo di sussidio. Perciò, da direttore didattico, fece istituire nei comuni di Orsara, Accadia e Monteleone dei campicelli sperimentali dove gli alunni, sotto la gudia illuminata del maestro (egli, in particolare, era anche abilitato all’insegnamento dell’agraria) e con l’aiuto di esperti agricoltori, imparavano a coltivare nel modo migliore la terra.

Questa iniziativa è una delle tante che egli prese in favore della scuola di Orsara.ma di altre e altrettanto valide si fece promotore per la cittadinanza orsarese, per la cui elevazione umana, civile, culturale ed economica tanto si adoperò: fu presidente di Opere pie e società operaie, si impegnò perchè si incrementasse il risparmio e perchè i lavoratori orsaresi potessero godere dei timidi benefici che le leggi prevedevano, combattè l’ignoranza e la malattia, l’ignavia e la crudeltà verso gli inermi animali, insegnò l’amor di patria e la soldiarietà internazionale.

Era il suo modo di testimoniare il suo attaccamento ad Orsara, così come atto d’amore era il ricercarne la storia sulle vecchie carte e nelle testimonianze archeologiche.

Mi piace più chiudere questa nota ricordando che egli andava molto fiero dell’incarico di Ispettore onorario dei Monumenti di antichità e d’arte del Mandamento di Orsara di Puglia, e che in

Questa veste ricevette, il 17/12/1927, i compiacimenti e i ringraziamenti della R. Sovraintendenza alla Antichità di Campania per le importanti notizie date sul territorio di Orsara e per il rinvenimento di una statuetta di pieno rilievo, fusa in bronzo, intatta, raffigurante un Ercole, donata, perchè di pregio, al Museo Nazionale.

Altri rinvenimenti importanti furono fatti nel 1928: una collezione di monete borboniche di argento, le più pregevoli donate anche esse al Museo Nazionale di Napoli e, infine, una iscrizione romana del tardo Impero, dedicata da tal Niceforo alla figlia Eufrosine morta all’età di due anni e sei mesi.

Pubblicazioni

 

  1. Banco completo da studio e da Lavoro, premiato con le maggiori onorificenze nelle Esposizioni Internazionali. Avellino, Tip. Pergola 1900 (Marsiglia 1902, Bordeaux 1902, lione 1903).
  2. Illustrazione del Banco completo, opuscolo dedicato a S. E. Guido Baccelli.
  3. Il lavoro manuale educativo e sue applicazioni, premiato in diverse Esposizioni. S. Severo 1890.
  4. Corso di Aritmetica e di Geometria applicata al Lavoro manuele,, per le elementari e complementari, premiato con una medaglia d’argento e due d’oro. Avellino 1896.
  5. L’avvicendamento nella direzione delle classi elementari, 1896.
  6. La prima educazione e l’asilo per l’infanzia. Ariano 1895.
  7. Diagnosi sociale e terapia morale, Ariano 1895.
  8. Dissolventi e coefficienti sociali.
  9. L’educazione morale, Avellino 1896.
  10. Il patronato scolastico, dedicato a S. E. Gianturco e pubblicato a cura del Municipio di Orsara. Ariano 1897.
  11. La Previdenza e le Casse di Risparmio postali, conferenza dedicata al S. E. Sineo.
  12. Il lavoro manuale nella Storia, conferenza dedicata ai Sovrani d’Italia e pubblicata a cura dei frequentanti il VI Corso di Lavoro educativo di Avellino. Avellino 1906.
  13. Apparecchi per l’insegnamento obbiettivo della planimetria, premiato nella Esposizione di Lione.
  14. Apparecchi per l’insegnamento obbiettivo della stereometria, premiato nella Esposizione di Lione.
  15. Sulla istituzione delle Cooperative Scolastiche in Provincia di Avellino, relazione e Statuto.
  16. Origini pedagogiche e finalità sociali del lavoro manuale, Avellino, Ed. Maggi 1909.
  17. Relazioni sul servizio della Cassa Op. Naz. Di Previdenza per gli operai in Porvincia di Avellino, Avellino 1910.
  18. Il Brigantaggio nel Napoletano dopo il 1860, Avellino 1923.

 

Sono stati inoltre pubblicati su diversi giornali e riviste del Regno, quale corrispondente, collaboratore e redattore capo, centinaia di articoli su questioni pedagogiche, didattiche e sociali.

 

 

 

 

 

Onorificenze

 

1.      Medaglia di bronzo ai benemeriti dell’istruzione, concessa dal Ministero nel 1899.

2.      Diploma di Menzione Onorevole della Esposizione d’igiene di Napoli – 1900 – Banco scolastico.

3.      Medaglia d’oro della Esposizione internazionale di Roma – 1901 – Banco Scolastico.

4.      Medaglia d’argento dell’Esposizione internazionale di Roma – 1901 – Lavori scolastici.

5.      Diploma di Gran Premio con Medaglia d’oro della Esposizione internazionale di Lione – 1902 – Lavori didattici.

6.      Diploma di Gran Premio con Croce di merito della Esposizione internazionale di Lione – 1902 – Apparecchi per l’insegnamento della Geometria.

7.      Diploma di Gran Premio con Medaglia d’oro della Esposizione internazionale di Bordeaux – 1902 – Lavori didattici.

8.      Diploma d’onore con Croce di merito della Esposizione internazionale di Bordeaux – 1902 – Banco Scolastico.

9.      Diploma d’onore con Croce di merito dell’Esposizione internazionale di Marsiglia – 1902 – Banco Scolastico.

10.  Diploma di Gran Premio con Medaglia d’oro della Esposizione internazionale di Marsiglia – 1902 – Lavori didattici.

11.  Diploma di Membro della Giuria dell’Esposizione internazionale di Marsiglia – 1902.

12.  Diploma di Membro della Giuria dell’Esposizione internazionale di Bordeaux – 1903.

13.  Nomina a Cavaliere dell’ordine della Corona d’Italia, Roma 25/11/1915.

14.  Medaglia di bronzo con nastrino decorato da tre stellette conferita dall’Ufficio centrale per le notizie alle famiglie dei militari, Bologna giugno 1919.

15.  Medaglia di bronzo della O:R:I: in riconoscimento delle grandi benemerenze acquistate verso l’Associazione, 1920.

16.  Medaglia di bronzo conferita dal Comitato bolognese della prima Mostra nazionale del Linguaggio Grafico del fanciullo.

 

 

Prof. Michele Cappiello

 

ORSARA

 

Suo nome ed origine

Esisteva dal 5° secolo della Chiesa, come si rileva da una conclusione Capitolare formata a 29 maggio 1646, nella quale si dice che non appena seguita l’apparizione del glorioso S. Michele sul Gargano a 8 maggio 490, questa popolazione lo prese per suo particolare Protettore, e li dedicò lo Speco, esistente extra moenia, che poi fu custodito dai Cavalieri dei Calatrava, venuti nel Regno ut certarent contra Mauros e fondarono in questo Comune la loro Casa Magistrale come appresso verrà detto.

La Lucania, che comprende oggi la provincia di Basilicata o Potenza, (era) abitata in gran parte da Sanniti (e) comprendeva in antico il territorio tra il Sannio e la Campania, cosparso di città fondate da colonie greche, che furono sottomesse ai Romani nel 272 a.C. Furono città della Lucania: Pesto, Vello, Eraclea, Sibari, Ursae, ecc.

La regione Lucana ebbe fra le altre popolazioni gli Ursannini, Urso, Ursae, Ursentum (Plinio, Hist. Nat., 9° cap. XI). Questa regione confinava con la Peucezia tutta coperta di foreste, come ne accerta Livio (lib. 9 par. 17) (Discorso preliminare di Giustiniani – dizionario geogrefico regionale, lib. 1°). Da questi popoli potè probabilmente trarre il suo nome di Ursaria.

Nell’anno 1343 era posseduta dalla famiglia Acquaviva, come si ha da un antico istrumento di confinazione ordinato dal Re Roberto nell’anno 1324 per la confinazione di Crepacore e Ripalonga, casali ambedue distrutti, eseguita dal Giustiziere di Capitanata. Nel medesimo atto intervennero tutti i possessori dei paesi limitrofi e p. 2 i rispettivi Sindaci, cioè D. Pietro Ardingo sindaco di Ripalonga, il Procuratore venerabilis viri Domini Fratris Imperj de Orozio ordinis Ospitalis Hyerosolimitani viceprioris in Barulo ad quem Casale Crepicordii dicitur pertinere cum iuribus et pertinentiis etc. ed i Sindaci delle

Università e terre di Biccari, Roseto, Castelluccio di Valle Maggiore, Troia, Orsara, Greci, Vetroscelli, Castelfranco, Campanaro; come anche i padroni di dette terre; cioè Nobilis vir Goffredus Mansella, il magnifico Giovanni di Ariano, padroni di Castelfranco; Grillo de Sabano, Conte di Ariano e Castri Campanarj; D. Ruberto….., Conte di Altavilla e Vitruscelli.

Nell’anno 1479, dal re Ferrante, trovandosi devoluti alla R. Corte Castra Montellaris et Castellucci Saurorum in Prov. Capitanata cum Hominibus et vassalisca, furono venduti al Conte di Montella, D. Diego De Cabaniglia, col solo pagamento di ducati 4000, giusta il privilegio esistente nel quinternione 7°, al foglio 54 e 59 della R. Camera della Sommaria.

La famiglia del suddetto Conte De Cabaniglia possedeva anche Orsara e nell’anno 1524 a 29 D(icem)bre D. Troiano Cabaniglia, per mezzo di D. Diego e D. Cesare Cabaniglia, fratelli germani con Procura, vendè la Terra di Orsara in feudo “tamquam utilier Dominum et PAtronum immediate a Regia Curia sub contingenti Reali servito” a D. Giovanni Guevara “iuxta territorium civitatis Troje, iuxta territorium Ripalonga; iuxta territorium Montis Acuti, iuxta territorium Bovini, iuxta territorium Castellucci, Cellularum et Faijte, et Feudis Montellari, et alios, si qui sunt” per ducati 12000. li vendè pure “quondam Feudum inhabitatum vulgariter dictum Montelleri, situm in eadem pertinentia, iuxta territorium Ursarie, Civitatis Troie, Bovini et Castellutti de Sauris” per altri ducati 6000 col diritto di recuperare anche Castelluccio dei Sauri. Feudi che il d° Conte di Montella D. Diego Cabaniglia aveva ricevuti donati nell’anno….. . Questo istrumento di vendita esiste nel quinternione 22, al folgio 130, Registro Cond.

 

Sua situazione e descrizione geografica dell’abitato e tenimeneto.

Giace al pendio di una piacevole collina denominata S. Marco, diramazione degli Appennini, il di cui piè all’est è bagnato dal fiume

Cervaro ed al nord lambisce le sponde del torrente Sannoro declinando verso la Puglia a vista del Gargano dal quale dista miglia 30, all’ovest guarda le vette di crepacore e S. Vito da cui dista 5 miglia, mentre al sud quelle del monte di Panni continuazione del giogaie che formano gli Appennini sud.

E’ situata a sud di Troia, da cui dista 5 miglia; all’ovest di Bovino, da cui dista 4 miglia; all’est di Castelluccio Valmaggiore, da cui dista 4 miglia ed al nord di Montaguto, da cui dista due miglia.

(E’) su di un piano inclianto di masso duro arenoso e sassoso, che la rende sicura da qualunque urto di tremuoto, non essendovi memoria d’uomo che le sue fabbriche avessero patito i tali funeste circostanze.

La sua aria è salubre, purificata dai venti che vi spirano; guarda all’est al mare Adriatico ed al nord l’isole Diomedee.

Era un antico castello in forma di cuore, cinto di forti torri merlate,  altre circolari, altre rettangolari al n(umero) di ….., il di cui ambito si calcola a passi….. .

All’ovest tiene fortificazioni naturali, cioè le rupi sovrapposte al torrente delle Grotti, che negli antichi tempi lo rendevano inespugnabile da quel sito. Egualmente al Sud veniva difeso da altro fossato d’un canale naturale denominato la Botte, ossia conservatorio che da origine alla preziosa acqua leggerissima, che si reca alla così detta Fontana vecchia.

Al nord aveva un profondo fossato artefatto, mentre all’est vi era il Campo fortificato in forma di rettangolo sulla parte più alta in una pianura chiamata il Castello, ora Colapalumbo, capace a contenere molte migliaia di armati.

In essa vi si entra per 4 porte, denominate: Porta di S. Pietro all’est, di Greci al Sud, di Porta nuova all’ovest e di S. Giovanni al nord. Le sue strade sono nel più spaziose, rettilinee e rotabili, se non che in alcune, avendosi abusivamente, da circa 50 anni dietro, formate gradinate esterne, le han deturpate e deformate.

Ma ora se ne sono atterrate molte e tutte devonsi togliere per disposizione del Governo con Uffizio del Sig. Intendente di Capitanata del dì….

Le abitazioni sono tutte a due piani ed alcune anche a tre, di un’altezza

che non dispiace. Il fabbricato è di pietre vive, in certe legate con buon cimento composto di ottima calcina, durevole e sodo, tutto nudo e scoverto che lo rende oscuro e spiacevole all’aspetto, non essendovi uso dell’intonaco che lo conserva e lo abbellisce e allegra la vista. Poche abitazioni ne conoscono il vantaggio.

La sua piazza era spaziosa e parallelogramma, fu deformata nell’anno 1622, che essendosi voluto migliorare la Chiesa di S. Nicola antica parrocchia, mentre la chiesa Badiale Cattedrale di S. Maria e S. Angelo, per l’abolizione dell’ordine dei Cavalieri di Calatrava cui apparteneva si era abbandonata, resa incomoda all’esercizio del divino uffizio, rimasta quasi un trapezio circondato da 15 botteghe di venditori.

Le sue strade erano tutte coverte di mattoni di taglio per non essere d’incomodo alle vetture ed animali da soma, ma logore e difossate in molte parti, vi si è surrogato il selciato di breccioni a secco, e la piazza nell’anno….. fu coverta con lastricato di pietre di taglio.

 

 

 

Chiese e Cappelle

 

  1. Tempio SS. Trinità…. Annunziata, Cattedrale;
  2. Chiesa S. Nicola (matrice, collegiata);
  3. Chiesa di S. Giovanni – S. Domenico;
  4. Chiesa Santissima Concezione;
  5. Chiesa S. Maria della Neve;
  6. Chiesa S. Caterina;
  7. Cappella S. Rocco;
  8. Cappella S. Maria Lauretana;
  9. Chiesa S. Maria La Stella;
  10. Cappella S. Pellegrino;
  11. Chiesa S. Salvatore.

Le tre antiche Cappelle di Orsara, di S. Rocco, di S. Maria Lauretana e di S. Pellegrino, (sono) distrutte e dimenticate.

Conteneva diverse chiese: il tempio sotto il titolo della SS. Trinità, come si rileva da una iscrizione lapidaria esistente ora al gradino dell’altare di S. Michele, patronato del Duca di Bovino, nobile signore di questo vasto tempio.

Esso aveva sette navi e vi si entrava per un vasto supportico corrispondente alla piazza.

Fu migliorata da Pietro Legionese, Abate di Orsara nel X secolo, come chiaramente consta delle seguenti iscrizioni: una posta attorno alla lapide tumulare del detto fondatore col suo simulacro in mezzo rilievo ed è la seguente:

 

Detta iscrizione letta in Napoli da un antiquario diplomatico, è la seguente:

“Magni Cristi Gratiae – Fidei nostrae A. 1003 – Indictione 12 Primo idibus Xmbris, hoc sepulcro, Templo hoc sepultus Petrus Abas Ursariorum – Petrus abas Legionensis hujusmodi sculptum deppinctum vidit Templum”.

Non fu edificata ma restaurata dall’abate. Nel 1003, invece, fu elevata a Collegiata con abate fornito di giurisdizione quasi vescovile e soggetto alla SS. Sede. Nel 1003 venne migliorata come tutte le chiese d’Italia e di Francia per la svanita predizione che nell’anno precedente doveva aversi la fine del mondo.

L’altra (iscrizione), citata sopra, così si esprime:

“† HOC: OPUS: EXTRVXIO: SAPIENTER: LEGIONOESIS PRUDEN: ATQ: PIUS: PETRUS: ABBAS URSARIENSIS: EST: INDIVIdue: SUB: TRInitatis honore hoc: templum: factao&: nitido: PlacidoQ: DCOR”.

A quest’ordine di Cavalieri di Calatrava, venuto da Spagna nel 1228 fu consegnato lo Speco, ossia antro dedicato a S. Michele Arcangelo, che dai primi secoli questa popolazione aveva eletto per suo protettore.

L’ordine religioso e militare di Calatrava fu fondato in Ispagna nel 1158 dai cavalieri Cistercensi. Portavano lo scalpore (e il cappuccio) sopra l’armatura; oggi il titolo non è che onorifico.

Attaccata al detto Tempio vi era la casa grande o magistrale del Gran Maestro che poi venne occupata dal barone conceduta dal Capitolo e notar Giovanni Maccigno del dì 16 settembre 1602, ma non cita nè la data della detta permuta, nè il notaro che l’ha stipulata; ma tratta solo della restituzione di versure 5 di territori all’Isca, che si erano cedute dal duca e non consegnate.

La chiesa di S. Nicola (1745) da sopra la piazza in una sola nave a croce latina; quella proprio che forma la croce di sopra fino al Presbiterio era la parrocchia; mentre quella dei Cavalieri di sopra descritta, oggi sotto il nome dell’Annunziata, era la cattedrale, giacchè l’abate di detto ordine aveva la giurisdizione episcopale con facoltà di ordinare in minoribus e teneva la sua diocesi, avendo soggette le chiese di Castelluccio Valmaggiore, Pontalbaneto e Fragagnano. Ma, soppresso il detto ordine nel  1924, come s’è detto di sopra, la suddetta chiesa di S. Nicola fu ampliata e ridotta a chiesa matrice, indi Collegiata insigne.

Nell’anno 1622 fu formata la nave grande e dato l’assetto di una bella croce latina. Notar Angelo Cozza, uomo ricco, rimase ducati 600 per farsi (la) suddetta nave col suo testamento del dì….. per notar….. .

La chiesa di S. Giovanni col convento abitato dai Cavalieri di Malta oggi S. D(omenic)o, attaccata alla porta di S. Giovanni, dove vi era anche l’ospedale. Ma, abbandonata dalla Casa del detto ordine, da Monsignor di Troia nell’anno 1417 fu conceduta ai PP. Domenicani, e

se ne formò istrumento di cui ne aveva la copia che s’è dispersa, ma, facendosi la ricerca per le schede di notai di quel tempo in Troia, si troverà certamente detto istrumento.

L’ordine dei Domenicani o frati predicatori fu istituito da Domenico Guzman a Tolosa e si sparse per tutto il mondo conosciuto.

La chiesa della SS. Concezione, extra moenia, fatta edificare dall’arciprete D. Ercole Noia e D. Sebastiano, di lui fratello, dotata di molti terreni, la di cui rendita si fa ascendere a ducati 300, con discreto numero di messe addette a quell’altare. Nell’anno….. si rovinò e più non s’è riedificata.

La chiesa di S. Maria della Neve, estra moenia, fu fabbricataa nel cadere del 1100 vicino al canale, ma resasi diruta per l’incontro dell’acqua, fu riedficata più all’alto, dove si trova attualmente e nell’anno 1620 molti legati furono fatti per detta fabbrica, come si rileva dal protocollo del detto notaio Muccigno, come dal sacerdote Giacomo Ciccone con testamento del 12 agosto 1622 d(ett)o notaio. Nella chiesa v’è una bellissima statua colossale, opera costruita in Roma, fatta a spese di Camillo Noia col testamento dell’anno 1624 per d(ett)o notar Giovanni Muccigno.

Da questa miracolosa vergine si erano ottenute innumerevoli grazie, che si trovano notare nel libro del Capitolo nominato lo Stallone, per cui si celebrava solenne festa a 5 agosto di ogni anno con concorso di popoli vicini e lontani; ma rimase abbandonata lungamente per un caso strano accaduto, e non sia di peso una disgressione sul proposito.

Secondo il generico di quel secolo, che tutto era maneggio d’armi, nel solennizzarsi la festa, si facevano delle armate, vestendosi da militari un numero di cittadini a forma di reggimenti di fanteria e di cavalleria, coi loro ufficiali, bandiere, tamburi ed altri attrezzi militari; facendosi delle finte battaglie, e si rappresentavano belli ed eruditi componimenti drammatici detti Pigliate (come l’Assalonne, componimento del giovane, allora convittore nel seminario di Ariano, D(otto)r Can(onico) D. Gianvincenzo la Monica, stato vicario di Bovino e Salerno), formandosi due armate, una per parte di Assalonne, l’altra di Davide, con gli attori che ne presentavano l’oggetto sopra di un teatrino situato in

pubblico al largo del Palazzo Ducale. La legione di Davide, dove per parte di Assalone, i suoi ufficiali ed ambasciatori proponevano un trattato di accomodo; ma dopo varie parlate e discussioni, rimaneva sciolta ogni pacificazione, onde si veniva alla battaglia e, datisi i segni alle due armate, accampate con i padiglioni e trinciere a vista l’una dell’altra, si veniva alla zuffa vedendosi dispersi i soldati di Assalonne e questo rimanere appiccicato coi capelli ad un albero che si piantava nel campo.

Così pure, altre volte, si rappresentava l’Alessandro nell’Indie, scena presa dal Metastasio ed accomodata con arte al soggetto; e simili componimenti.

Questi armeggiamenti dilettavano molto, tenendo occupato il popolo ed i forestieri tutta la giornata; e si praticava anche nella festività di S. Michele Arcangelo, per cui il concorso era grandissimo dei forestieri.

Nell’anno 1698, celebrandosi la festa a 5 agosto, girava la finta armata per le strade tanto di fanteria che di cavalleria. Uno dei soldati a cavallo aveva sciolta la cinghia della sella, forse col trottare del cavallo¸onde un paesano lo avvertì che si era spuntata la cinghia¸ma quello, che aveva una sorella che si udiva di cattivo odore, credendosi affrontato, perchè cignati si chiamavano i fratelli di tale donne, per un senso adottato come cornuti i mariti delle moglie dissolute, pieno di sdegno, forse occupato dal vino, smontò da cavallo e sguainata la sciabola che portava, lo inseguì.

Quell’infelice scappò nella chiesa della Vergine credendo trovare pieno asilo nell’altare; ma innanzi al medesimo, (l’offeso) lo svena, l’uccide.

Questo caso così barbaro fece orrore e, da indi in poi, si cessò di celebrare la festività di Maria Santissima.

Vi fu una siccità generale nel Regno e specialmente nella Puglia ed in Capitanata per più anni e nell’anno 1779 fu più ostinata, non essendo piovuto dal mese di novembre; si era alla fine di maggio ed i grani (erano) rimasti nani; in tutti i paesi si piangeva, facendosi esposi<ioni e preghiere a Dio e ai Santi. Qui si era esposto il glorioso S. Michele, si era fatto il settinario alle anime del Purgatorio, e celebrato il triduo al SS. Sagramento; ma il cielo era fatto di bronzo, quando un devoto cittadino propose di esporsi la Vergine della Neve, che da circa 80 anni non s’era più esposta per l’accidente che si è riferito e, quasi abbandonata, non si celebrava più la festa. Così fu eseguito: nel dì 29 maggio di detto anno si

destinò una processione di penitenza; il Clero, i galantuomini, il popolo, a piè scalzi, colla statua di S. Michele, si condussero nella chiesa della Vergine  della Neve. Ivi si celebrò la messa cantata e si espose la statua, che, finita la messa, fu portata processionalmente per il Paese. Appena uscita la processione dalla porta della chiesa, si vide comparire dalla parte ovest, detto il Buccolo, una nuvoletta; questa si dilata a poco a poco e copre tutto il nostro orizzonte, nel tempo che la processione gira per l’abitato. Ritirata appena nella chiesa, le vette di S. Vito si vedono biancheggiare di neve e pel nostro tenimento cade una pioggia soave e così abbondante per più ore, che satolla l’arida terra, le piante si ristorano e ne succede una raccolta mirabile.

La pioggia bagna le nostre terre e resta sitibonde le vicine. Il prodotto dei grani, per lo più scarso, fu di tomoli 40, l’ordinario di 80, fino a tomoli 90 e versura. Per la scarsezza generale dei cereali nel regno il prezzo giunse fino a ducati 4,50 il tomolo; questi abitanti divennero tutti ricchi e cominciarono a fabbricare il Borgo di S. Maria della Neve.

Per tale ottenuta grazia, si fece a gara di fare offerte alla Vergine, portando carri e some piene di covoni di grano, tanto che si formò una bica grande e, unito il prodotto alle altre offerte (raccolte) in giro sulle aie, si ritirassero più centinai di ducati; onde fu ripigliata la sua festività con maggiore solennità. Si fecero delle illuminazioni per tutte le strade con festoni di verdure di stingo (lentisco) a forma di villa ed erano così ben diretti nei primi anni che D. Cristina Spinelli Cariati, principessa di  Montaguto, trovandosi nel feudo, volle  venire a visitare la Vergine nell’anno 1782 e rimase ammirata.

Era tanto il fervore che si progettò la riforma della chiesa e si fecero delle abbondanti limosine, colle quali si fece la corona di argento; ma rimase abbandonata la riedificazione della chiesa.

Vi era pure la chiesa di S. Caterina nella Piazza, che poi si rese diruta; ma, riedificata, si formò la Congregazione dei Morti, unica e sola attualmente esistente. Era (una) piccola cappella con un basso soffitto. Colle limosine e prestazioni di fratelli e sorelle è sorta ampliata. La parte superiore dell’arco della cupoletta col coro  fu costruita nel suolo conceduto da Vespasiano Alfano, cui apparteneva la casa oggi del sig. De Stefano. Si obbligò costui di fare un’altra cappella, a prospetto

dell’opposta cappella; ma, essendosene morto senza figli, gli eredi non han creduto a tanto adempiere.

La Cappella di S. Rocco, fuori la porta di S. Giovanni, fu riedificata nell’anno 1656 a premura di monsignor Sacchetti, vescovo di Troia, ed a spesa di D. Bartolomeo Scappalti, coll’occasione di essersi sviluppata in Napoli, nel mese di aprile di detto anno, la peste che teneva infestata tutta l’Italia. Si distese per il regno e, nei paesi vicini Troia, Bovino, Panni ed altri, faceva strage; per cui detto vescovo si ritirò in Orsara a 5 agosto, dove a 9 settembre si recavano pure D. Francesco Guevara e la Principessa di Montaguto di casa Carafa, moglie di Ferrante Capece, e, mercè la protezione di S. Michele, S. Nicola e S. Rocco, essi e tutto questo popolo ne vennero liberati.

In detta Cappella vi era anche il cimitero dove si conservavano le ossa dei defunti che si dissumavano dalle sepolture delle chiese. Venne abbandonata e resa diruta nell’anno 1800. per la riparazione della medesima, per rescritto di monsignor Ludovico, vescovo di Policastro e visitatore generale della provincia di Principato ultra e Capitanata destinato da S(ua) M(aestà), il popolo, a 2 febbraio 1800 riunito in parlamento, elesse il canonico D. Raffaele Forgione onde eseguirla e destinò il prodotto del dazio del mezzetto che si affiatava, per la spesa e mantenimento  in perpetuo.

Da costui si cominciò a restaurare la detta Cappella, tanto che vi si celebrava; ma la maldicenza disarmò lo zelo di sacerdote, che cessò di assistervi ed in poco tempo si rese diruta nuovamente. Le ossa degli antenati si videro disperse e divenute cibo delle belve; mentre il provento dell’affitto del mezzetto se lo incorporò l’università e, colla legge dell’abolizione dei dazi di consumo sotto l’occupazione militare, rimase soppresso.

Vi erano altre chiese distrutte interamente, che non se ne conosce nemmeno il sito, come la cappella di S. Maria Lauretana, nella quale questo Capitolo vi tiene addette delle messe perpetue, e, per tradizione, si crede che fosse situata fuori la porta di S Giovanni, dietro al convento di S. D(omenic)o sul montetto soprapposto al canale di S. Rocco, a

mandritta andando verso la Cupa. Questa fu fatta fabbricare nell’anno 1616 da Prudenzia e Fulvia Poppa e dotata di messe e processioni, come si ha da un istrumento del dì 13 settembre 1616 pel notar Giovanni Muccigno di Orsara.

La chiesa di S. Maria della Stella; ma di questa s’ignora ogni tradizione; è notata, però, negli atti di S. Visita di vescovi diocesiani.

Vi era pure la Cappella di S. Pellegrino, di cui si conserva l’osso del dito pollice, della man destra, incastrato in un braccio di legno dorato. Reliquia conceduta da monsignor Astalli all’arciprete Dr. D. Francesco abbate Calanni nell’anno 1643, togliendola da quelle che si conservano in Foggia. Il capitolo vi tiene l’obbligo delle processioni al 16 di maggio di ogni anno. Questa (cappella) era formata in un antro attaccato alla Grotta di S. Michele con altare e statuetta rustica di pietra.

Nell’anno 1810, a causa dell’incursione delle bande di briganti, fra i quali il famoso insurgente Arcangelo Curcio, cittadino che diceva di sostenere il partito di Ferdinando contro Re Gioacchino Murat che aveva occupato il regno e faceva strage di quelli che credeva contrari al suo partito. Si vollero fortificare le mura con rifare quelle che erano dirute e chiudere il paese, come fu fatto colla spesa di ducati 1000 e più; onde, per ricostruire la porta che conduce alla Grotta di S. Michele detta Porta Nuova, fu tolto l’arco d’intaglio, che faceva frontespizio alla detta Cappella.

Smosso il medesimo, se ne caddero grossi tufi e (la cappella) rimase abbandonata ed inutile, nella quale sopra dei poggiuoli laterali scaturiva dell’acqua, che, bevuta con fede dai febbricitanti e terzenari, ne rimanevano guariti. Venivano ammalati dai vicini paesi ed altri riempivano le ampolle per farne uso nel bisogno.

Vi era pure la Chiesa di S. Salvatore, situata ove si dice il Piano del Pozzo, esistendovi attualmente i ruderi delle mura ed, attaccato alle medesime, s’è costruito il Camposanto. Questa cappella fu fatta costruire da Troiano Staffieri.

La dotò di ducati cento onde dirsi una messa ogni settimana e di una….. , onde dai fratelli mantenersi la chiesa. Ciò si ricava dall’istrumento celebrato dal notar Giovanni Muccigno a 16 gennaio 1621, al foglio 103. nel 1748 da monsignor D. Giampietro Faccolli fu conceduta l’alternativa. Nel 1749 se li concede l’insegne dell’almzio dallo stesso vescovo.

Di tutte le descritte chiese, ora solo quattro si trovano aperte al culto.

La chiesa di S. Nicola, situata all’oriente della piazza, ampliata come s’è detto; in essa si trova traslato l’antico Capitolo e clero di S: Angelo e S. Maria.

La chiesa di S. Angelo e S. Maria è quella rimasta ora nella sola cappella della SS. Annunziata, appartenente alla dismessa congregazione sotto detto titolo e di quella di S. michele di patronato dell’eccellentissimo Sig. Duca di Bovino.

Era un magnifico tempio fondato da Pietro Legionense abate di Orsara, sotto il titolo della SS. Trinità nell’anno 1003; il quale (abate) esercitava giurisdizione episcopale, come si vede scolpito sulla lapide del suo sepolcro con mitra, baculo, dalmatiche, croce, anello, coturni. Si ravvisa dalle riportate iscrizioni lapidarie.

(Il tempio) era di sette navi oltre al monistero; ed, avendo il pontefice Gregorio IX nel 1128 chiamato dalla Spagna i cavalieri di Calatrava per difendersi dalle molestie che Federico II ed i Saraceni (g)li davano in Italia, concesse detta chiesa e monistero, dove i suddetti Cavalieri fondarono la Casa grande, esercitando giurisdizione ecclesiastica e temporale sopra Orsara, Castelluccio Valmaggiore, Montecalvello, Pontalbaneto e Fragagnano nella marina; (questa fu una) diocesi surta dal territorio proprio. Tanto la casa che le altre navi della detta Chiesa dal Capitolo e clero furono cedute al duca di Bovino permutandole con vari territori e concedendoli (il duca) l’immunità dal terraggio feudale, che in quei tempi i baroni esigevano di un tomolo e mezzo a versura per ogni versura di grano, orzo e avena sementata, come si accenna nell’istrumento celebrato dal notar Giovanni Muccigno il 19/06/1662.

La chiesa di S. Domenico, a settentrione dell’abitato ed attaccata alla

porta detta di S. Giovanni col monistero annesso, fu prima fondata dai cavalieri di S. Giovanni dell’ordine di Malta ai tempi delle crociate, probabilmente  verso l’anno 1100, con l’ospedale per ricevere i pellegrini che dall’estremità della Gallia, dalle foreste della Germania, da tutte le contrade di Europa si recavano in Terra Sanata a visitare il Sepolcro del nostro Salvatore, conquistato nel 1099 col sangue delle armate di Cristiani, guidati da valorosi capitani e da Goffredo Buglione e, reduci da Gerusalemme e dai luoghi santi, sbarcavano in detto porto per restituirsi nella loro patri. Quivi (ad Orsara) dalla carità di detti religiosi ricevevano ristoro alle stanche memebra, lavanda ai piedi, frugale mensa e medicamenti  alle piaghe.

Abbandonata questa chiesa col monistero da detti religiosi cavalieri verso l’anno 1417, da monsignor di Troia fu detta chiesa conceduta col convento ai PP. Domenicani come si ha dal cap. XI delli statuti e regole antiche della chiesa.

Dallo stesso capit. XI si legge che monsignor D. Ferdinando Pandolfino, con istrumento del 27 gennaio 1538 per mano del notar Marino de Junis di Troia, concedè al Capitolo tutte le rendite dell’ospedale, che si trovava descritto nel Cabreo, ossia Stallone con una casa consisitente in una sala grande e quattro stanze, e si crede che sia stata la casa ora di Curcio, la quale, resa diruta, fu censita a D. Francesco Curcio arciprete per annui carlini venti. La cessione delle dette rendite, che non erano poche, fu fatta con l’obbligo di tenere sei letti e dare il vitto e mantenimento agli ammalati poveri e (di) tutt’altro bisognevoli, come pure dare la cavalcatura sino al paese o città vicina a quelli che potevano viaggiare. Locchè s’è praticato fino all’ultimo sconvolgimento del regno. Questo si rileva pure dal libro degli atti di visita dell’anno 1595, fatta dall’arcidiacono e vicario grato  D. Felice Siliceo, che poi fu vescovo di Troia.

I PP: Domenicani vi hanno stanziato sino all’anno 1809, quando con decreto del 7 agosto di d(ett)o anno, nell’occupazione militare di Gioacchino Murat, (fu) ordinata la soppressione di tutti gli ordini monastici possidenti.

Abbandonato dai monaci, il monistero in breve tempo venne manomesso

e devastato, avendosi preso le finestre, le porte, le tavole del soffitto, smantellato i tetti, presi gli embrici ed anche i mattoni degli archi delle porte, per cui tutti i muri della parte superiore (erano) caduti e crollati, parte dei bassi anche caduti e vi si chiudevano gli animali. Appena la sola chiesa non fu smantellata per cura e zelo di mio figlio D. Errico Forgione, che con D. Emanuela la Monica sua zia, col canonico D. Teodoro Grilli e il D. D(omeni)co Scalzi si obbligarono con monsignor Monforte di andare ogni giorno a celebrare almeno una messa ed a loro spese tenere accesa notte e giorno una lampada innanzi all’augusto Sagramento, che si volle far rimanere alla venerazione.

Passati poi alcuni mesi, cadde da se sola una parte della chiesa e propriamente la Sacrestia fino all’altare maggiore. Da taluni si voleva che si fosse abbandonata; ma da me chiamato il mastro muratorre Vincenzo Rutigliano, feci osservare che spesa bisognava e trovatola comportabile, ordinai che l’avesse accomodata e furono spesi circa ducati….. e così (fu) riaperta al culto.

Si era ritirata dal monistero di S. Maria delle Grazie di Troia, la nominata D. Emanuela la Monica per affari di famiglia, dove menava vita religiosa. Costei mi palesa il desiderio di ritirarsi essa in detto diruto locale, contentandosi accomodare alcune stanze dalla parte di mezzogiorno, ed ivi unire alcune divote donne celibi per sua compagnia e custodire la chiesa.

L’animai a tale santa risoluzione e fatte rifare tre stanze col corridoio a lato del coro, essa, Antonia MarIA E Luigia Cavallo, si ritirarono nel detto locale.

Per no stare oziosa detta D. Emanuela si faceva condurre dalle ragazze, pregandone le madri, e le faceva il catechismo della religione, mentre le sopradette due sorelle travagliavano al telaio, tessendo tele casereccie. D. Emanuela, sebbene ricca, aveva conservato il celibato, ricusando lo stato coniugale.

Altre notizie riportate nel manoscritto

 

Murat abolì gli antichi governatori e con legge 20 maggio 1808 istituì i Giudci di pace: quello di Troia aveva giurisdizione su Orsara e Castelluccio dei Sauri. Con legge 29 maggio 1817 fu abolita la giustizia di pace e (furono) creati i giudici conciliatori, quelli circondariali ed il tribunale (di) commercio.

 

Orsara, a 3 nov. 1813, con decreto del re Murat, controfirmato dal ministro Ricciardi, fu fatta Capoluogo di Cricondario, le dipesero Montaguto e Greci; Savignano, dal Circondario di Bovino, venne aggregato (a quello di Orsara) il 17 febbraio 1861.

 

Orsara fu fatta Capoluogo di circondario con decrato 3 novembre 1813 di re Giocacchino Murat, controsignato dal ministro Ricciardi. Vi dispesero Montaguto e Greci; poi Savignano dal….. . Di questo Capoluogo di Circondario sive Mandamento, venne soppresso l’Ufficio del Registro, istituito nel 1….. , con DL. Del….. giugno 1937, ed aggregato a Bovino al 1° settembre successivo.

 

Non vi è dubbio che questa terra di Orsara si antichissima e che si stata edificata dai re in tempo delle guerre civili e proprio lorquando fu distrutta la città di Ecana, presso le cui rovine sorse poi Troia nel 1228.

La predetta Terra fu costrutta simile ad una città a forma di castello, ristretta e murata con intorno bellissime torri a bassi rettangolari e circolari. Intorno alle mura vi erano bellissime torri a basi rettangolari e circolari. Intorno alle mura vi erano degli affossamenti che costituivano la inaccessibilità alle incursioni barbariche. E ciò di certo rifugio, di sicuro scampo dei soldati e di sicuro asilo di piazza d’armi, ove copiose fosse di granai e di depositi di vettovaglie ed, in principale servigio dei soldati infermi ed inabili di ferite, vi costrussero un grande ospedale in tal maniera che dal campo in essa Terra facevano il trasporto dei soldati invalidi ed, appena ivi  introdotti e nel lasciarli, gli ospedalieri dicevano loro: “Orsana”, cioè in questa terra si recupera la salute. Si vorrebbe che

Orsara derivasse da “orsana”. Siccome nell’intorno, nel recinto, da per tutto era coperto da foltissime boscaglie, si dice che una volta ci fu trovata un’orsa lattante coi suoi piccini, donde si fosse copiato il nome in Orsara, come per dire albergo di orsi.

Potrebbe darsi da ciò il nome al paese? Nello scudo, certo, è rappresentata un’ora coi piedi anteriori levati e poggiati al tronco d’una quercia con due orsacchiotti alle mammelle.

 

Lorenzo Giustiniani ritenne Orsara edificata nel V secolo dell’era volgare e propriamente ai tempi in cui i 36 duchi dell’esercito longobardo si divisero le terre conquistate in Italia. Vi sono ragioni, però, per sostenere che sia sorta ai tempi dei Romani come dalle sue mura, dalle sue torri merlate e dall’architettura dell’insigne chiesa collegiata, che fu cattedrale di abate nullius, prescelta in Italia nel 1228 dal pontefice Gregorio IX pressere Casa grande di magistero dell’ordine cavalleresco di Calatrava venuto dalla Spagna.

 

Passò, poi, Orsara dai re di quei tempi in potere dei Cavalieri Templari o Teutonici, come dalla tradizione di antiche scritture che si conservano in Napoli.

 

E’ nella tradizione che gli ospedalieri, per confortare, incoraggiare ed assicurare la completa e sollecita guarigione ai sofferenti, che si lamentavano e disperavano del male, dicessero e ripetessero loro: “Orsi sana” convinti dell’efficacia prodigiosa del clima e delle cure. Si vuole che derivasse da ciò il nome Orsara, dato alla terra. Ma di questa congettura è detto in altra puntata a proposito dell’origine del paese.

 

Nel Concilio di Vienna, sotto il pontificato0 di Clemente V, ( Orsara )

fu trasferita, con tutti i privilegi  ed onori, ai re di Napoli, che avevano il diritto di presentare l’abate mitrato. L’ultimo abate fu D. Placido Barbona, come si osserva nella lapide  del (la) sua tomba, poichè l’Abadia dopo fu unita al vescovati di Troia, come altre (abadie) in quei tempi (furono unite) ad altri vescovati. Dal re di Napoli Alfonso I d’ Aragona, Orsara fu ceduta dal conte di Canavaglia e da questi venduta al duca di Bovino, che acquistò il diritto di nominare l’arciprete.

 

I Domenicani vennero in Orsara nel 1417 e vi stettero sino al 14 ottobre 1809, in cui si soppressero gli ordini monastici con decreto 7.8.1809 del Murat. Il convento fu dato alle suore del SS. Redentore e SS. Rosario, con l’obbligo di insegnare gratuitamente alle ragazze del popolo le lettere e tutte le arti domestiche, sino al ricamo, e di avere un educandato per l’educazione delle giovanette della classe agiata.

Nel 1590 fu trasferita la chiesa di S. Michele e S. Maria nell’ampliata chiesa di S. Nicola di Bari, perchè una parte (della vecchia chiesa) venne occupata dal palazzo baronale e, (per) il resto, era divenuta incomoda, umida, inaccessibile e perchè gli stragoni vi facevano magie scandalose. (Nella nuova chiesa si) trasportò la fonte battesimale, il coro, l’Arcangelo e tutti gli arnesi sacri, La croce che si vede sull’altare maggiore ci venne da Ripalonga, dopo la distruzione per peste.

 

Le case guardanti l’oriente della Via Madonna della Neve erano le ultime del paese nel 1780; come le torri delle mura di cinta del paese, incorporate a diverse case. In una di queste, abitata da Pasquale Palazzo fu Domenico, vi era scritto sulla porta, quasi a ricordo dei posteri, il motto “ Dio ci vede “.

NOLISAPEPLUSCOP si spiega: “ Non devi sapere più di quel che vedi “. Questo monito si legge sulla casa a 1° p(ian)o che guarda Porta dei Greci.

 

Orsara, nel 1786, iniziò un giudizio coll’università di Troia, vantando di avere comuni i diritti di pascolo su quelle terre demaniali. L’avv. Petruzzi di Troia, alla R. Camera della Sommaria, presentò, in detto anno, una memoria e istanza. Della vertenza non è rimasto che questo solo ricordo.

La così detta “ pietra tonna” (pietra tonda), o meglio cilindrica, col diametro di centimetri 54 e l’altezza di centimetri 68, messa allo spigolo della (chiesa) matrice in piazza Minicipio, sta a ricordare il “palo della Repubblica o della Libertà” sormantato dallo storico berretto grigio, che vi si piantava (il palo s’intende) nell’incavo o fossetta centrale superiore al tempo della dominazione francese da dopo il 1789 al 1815. Su detta pietra, è tradizione, vennero tagliate le mani al famigerato brigante Peppe Bortuglio, che, datosi alla fuga, si narra dissestò, coi moncherini sanguinanti, la canna al fucile di un milite col quale si imbattè in via fontana nuova.

 

Su domanda del 26 marzo 1805, re Ferdinando dichiara fondata ed istituita la Congregazione dei Morti, con decreto 1° aprile 1805.

Il Conservatorio del SS. Redentore fu fondato verso il 1830; nel locale concesso dal Municipio nel 1835, vi furono aperte le scuole.

Il Monte frumentario fu istituito il 30 giugno 1832 e autorizzato il 17 giugno 1833 con decreto reale.

Il Cimitero fu costruito nel 1835.

La fontana vecchia, fatta demolire dal commissario A. Garofalo nel 192…. , fu costruita prima del 1000; la fontana nuova nel 1606 e la fontana S. Angelo il 1862.

Il Comune di Orsara (Dauno Irpina) con decreto 8 agosto 1884 fu denominato Orsara di Puglia a decorrere dal 1° settembre.

La strada nazionale, che da Napoli va a Foggia e nelle Puglie, fu fatta costruire da re Carlo  III Borbone, il quale, lungo il percorso, vi fece fabbricare, a certe distanze, delle fontane pubbliche, dette “carpini”.

Sono, presso Orsara, quella Ponte Gonnella e del Ponte di Bovino.

La strada di allacciamento di questa nazionale con Orsara  si ebbe nel 1835.

La strada ferrata che passa per Orsara fu inaugurata il 1° agosto 1868 e la stazione si ebbe nel 1872.

I Romani avevano imparato dagli Etrischi l’arte di costruire strade. A mano a mano che il loro domino si estense nella penisola e nel mondo., essi svilupparono la loro rete stradale. Per assicurarsi la sottomissione della Campania, Roma costruì la famosa Via Appia, detta regina delle

vie, che dalla capitale conduceva a Capua e da Capua per Benevento, a Brindisi; questa via era la regina delle vie tra quante costruite in tutta Italia per comunicare con Roma.

Per la contrada Crepacore vi passava questa via Appia Traiana, costruita nel 110 d.C.

 

Nel 1839 il paese aveva 2 fontane, la “vecchia” e la “nuova” costruita nel 1606; tre Congregazioni: delle Grazie, (del) SS. Sagramento, e (della) SS: Annunziata; fu Comune di 1^ classe per le sue rendite che ascendevano, come dagli stati discussi dal 1838 al 1842, a ducati 8834,20; fu Capoluogo circondariale con annessi i Comuni di Greci e Montaguto. Il tenimento, esteso e ferace, era di 36 mila moggi, di cui 20 mila in erbifero e boschi, 16 mila sativo (di cui 2000 pertinenti al Capitolo, che vanta 2000 ducati di rendita da un capitale di ducati 6429,50). Produce ogni derrata: frumento, frumentone, biade, vino, olio, frutta d’ogni specie, ortaggi, dandone il superfluo alle province di Terra di Lavoro e dei due Principati.

 

La popolazione, prima del 1835, era  di 5000 anime, ora è ridotta a 4589 per colera del 1837 e pel vaiuolo del 1838. Altre (epidemie di) colera avvenne(ro) nel 1839 con 400 morti e nel 1854 con 300 morti.

 

Vi era, nel 1839, un maestro elementare per i poveri con lo stipendio di ducati 120; mentre per gli agiati e per i ricchi vi erano gl’insegnanti per la letteratura, le scienze matematiche e filosofiche.

Queste notizie dell’anno 1839 sono rilevate da un certificato del Sindaco Carmelo Cericola, in data 10 settembre 1839.

Gli antichi tempij di  S. Angelo e S. Nicola sono ricchi di antiche e rare pitture, specialmente dello Zingaro, e di rare statue, tra le quali è quella dell’Arcangelo del celebre Colombo.

La chiesa di S. Giovanni, col convento e l’annesso ospedale, appartenne all’ordine dei Cavalieri di Malta sino al 1417; quindi fu dato ai Domenicani del Vescovo di Troia, che vi stettero sino al 1809, e poi alle Monache del Divino Redentore, oggi alle Figlie di Carità di N.S. al Monte Calvario con Casa Generalizia a Roma.

Orsara gode di due fiere annue (8 maggio, 29 settembre) concesse da re Roberto con privilegio del 1335 e 1336, il quale esiste nel Grande Archivio del Regno.

 

Il servizio automobilistico per la stazione, ad iniziativa privata, si ebbe….. .

La illuminazione elettrica, pubblica e privata, si ebbe, ad iniziativa di Mario Campagna, nel febbraio 1925.

 

Studio Araldico Italiano – Firenze

Orsara ha per stemma un orso vicino a un albero. L’origine di questa terra rimonta ai primi secoli del Cristianesimo. Negli antichi diplomi è ricordata col nome di Castrum Ursarie, ciò fa credere che sia stata una piazzaforte (Notizie su famiglia Maffia).

Documenti concernenti il Monastero di S. Domenico e l’annessa Chiesa di S. Giovanni di Orsara.

 

Doc. n. 1 – Intendenza di Capitanata – Consiglio generale di beneficenza n. del Prot. 1625 – Pel Conservatorio da erigersi – Foggia 28 marzo 1826. Sig. Sindaco, S. E. il Ministro Segretario di Stato degli affari interni, con foglio dei 25 andate mese, s’è compiaciuto manifestarmi quanto segue: “Ho rassegnato a Sua Maestà la domanda di Emanuela La Monica per erigersi un Conservatorio di donzelle nel locale del soppresso Monastero dei Domenicani di Orsara, ove attualmente trovasi la scuola comunale Sua Maestà, considerato che i mezzi che si sono proposti per la dotazione dell’opera non sono sufficienti,  si è degnata di comandare che per gli cespiti appartenenti alla Congregazione del Rosario, esistente un tempo nel Monastero, ed altri della stessa dipendenza, che si dicono obliterati, la Commissione Amministrativa locale, potrà per le vie legali sperimentare le sue ragioni, onde potessero aver luogo nella creazione del progettato ritiro, e che intanto si propongano altri mezzi più conducenti e spediti al compimento della congrua e sufficiente dotazione del medesimo. Nel Real nome lo partecipo a codesto Consiglio in risulta dei suoi rapporti sull’oggetto e per suo governo. Napoli, lì 25 marzo 1829. Marchese Amati”. Quindi lo significo a Lei per intelligenza di codesta Commissione, ed affinchè la stessa proponga altri mezzi più conducenti e spediti al compimento della congrua e sufficiente dotazione del divisato ritiro. L’Intendente. Presidente N. Santangelo.

Al signor Sindaco Direttore della Commissione Amministrativa degli Ospizi di Orsara. Per copia simile. Gaetano Fragassi, Sindaco.

 

Doc. n. 2 – Napoli, 10 agosto 1831 – Sig. Intendente. Di prosieguo alla nostra dei 2 marzo n. 352, ci facciamo il dovere di parteciparle che gli Eccellentissimi Esecutori del concordato, con venerata carta dei 5 scorso luglio, ci hanno autorizzato a trattare sulla domanda della Beneficenza di Orsara con dovergliene riferire il risultamento per le definitive loro risoluzioni.

Ci rivolgiamo, perciò, a Lei per le trattative suddette nelle quali tener si deve ragione delle seguenti circostanze.

La annualità  e i fondi che la Beneficenza, sull’appoggio del catasto 1753, cerca revindicare sono descritte sul libro dei domenicani, intitolato

repertorio del 1758 di tutti i beni  dei medesimi come di loro assoluta proprietà.

Come proprietà dei Domenicani passarono al Demanio nella soppressione in virtù del decreto dei 7 agosto 1809; e, quindi, dal Demanio al Patrimonio Regio per l’art. 12 del concordato. Il detto repertorio cita anche i fogli del Cabreo, che non è stato possibile rinvenire perchè, forse, sottratto nella soppressione.

Li Domenicani han dovuto, adunque, farne l’acquisto tra il 1753 ed il 1758. Se si fosse rinvenuto il Cabreo se ne conoscerebbe il titolo, che nel medesimo trovar si deve indicato. Ma, anche nell’ignoranza, ha molto peso il lungo, non interrotto, pacifico possesso a titolo di proprietà del 1758 sino al 16 ottobre 1830, giorno della introduzione del giudizio. Conceduto per poco che le addebitate ragioni non siano valevoli a rimuovere la domanda della Beneficenza, non potrà negarsi che il Demanio, il Patrimonio Regio e il Monastero di S. Andrea, che a causa del detto patrimonio siano stati possessori di buona fede, e, quindi, non sono obbligati a restituzione di frutti sino al giorno dell’introdotta lite. Infine convien provare che le annualità (dei) fondi suddetti travansi effettivamente presso il Patrimonio Regio, ed il Monastero di S. Andrea. Per quanto abbiamo riscontrato le scritture patrimoniali, non vi abbiamo rinvenuto articoli uniformi. Per lo che conviene devenirne alla identificazione; operazione che, a nostro credere, preceder deve ogni trattativa e che sarebbe inevitabile anche se si proseguisse il giudizio.

….. Da indi si dà in giornata l’incarico all’Amministratore di Troia Sig. Salandra di devenirsi all’intervento di quel rappresentante la Beneficenza, che potrà esser da Lei, Sig. Intendente, destinato e coll’adibire anche dei periti da eligersi vecendevolmente.

Eseguita questa operazione, il Sig. Salandra si presenterà a Lei per mostrare il suddetto libro dei Domenicani e per fissare l’ultimatum della comnvenzione, in cui, con la giustizia ed integrità che la distinguono, potrà Ella valutare la forza delle operazioni promesse, per quindi sottoporsi all’approvazione degli Eccellentissimi Esecutori del concordato.

Vogliamo augurarci che non dissentirà da questi economici espedienti e che ne dia gli ordini conformi.In qualunque caso ci attendiamo di Lei pregiato riscontro. Il Coamministratire nominato da S.S. Ganganci. Il Coamministratore nominato da S.M. Scoppa. Foggia il 1° Settembre

1831. Per copia conforme. Il Segretario del Consiglio Gen.le di Beneficenza Giuseppe Maria De Meola.

 

Doc. n. 3 – A.S.E. il Segretario di Stato Ministro degli Affari Ecclesiastici. Eccellenza, Emanuele La Monica Istitutrice del Conservatorio delle Donzelle e della Scuola gratuita del Comune di Orsara in Provincia di Capitanata, eretto nel soppresso Monistero dei P.P.Domenicani di detto Comune, riverentemente l’espone che nella soppressione del cennato Monistero, per errore furono confusi i beni dello Cappella del SS. Rosario con quelli dei Domenicani.

Da S.M. di felice memoria, con sovrana disposizione, di detti cespiti ne fu ordinata la rivendica ed assegnati al riferito novello Stabilimento.

Se ne intentò un regolare giudizio; ma, comunicati i legali documenti alle Dame Monache di S. Andrea di Napoli ed al regio Demanio, detentori dei suddetti beni; detta Commissione Mista Amministratrice del Patrimonio Ecclesiastico Regolare, autorizza dall’Eccellentissimi Esecutori del Concordato, fu manifesta al Sig. Intendente, con foglio dei 19 gennaio 1831, che non si desiderava litigare; ma, sospeso il giudizio per un mese ond’esaminare le scritture, il Consiglio di Beneficenza avesse deciso “trattandosi di due confidenze destinate al servizio della Chiesa ed al sollievo dei poveri”.

In seguito la cennata Commissione mista del Sacro Patrimonio Regolare, avendo prodotto nel Consiglio le sue osservazioni fatte su i documenti presentati, e non trovat’alcuna ragione a suo favore, conchiuse doversi devenire alla identificazione dei cespiti, che si chiedevano prima dell’aggiudicazione, per conoscersi se erano quelli che si detengono dalle venerate Dame Monache e dal Patrimonio Regolare, e di non essere tenuti alla restituzione dei frutti, perchè possessori di buona fede. La chiesta operazione è stata eseguita con l’assistenza ed intervento degli avvocati delle ridette Signore Monache e del Patrimonio divisato ed il tutto è rimasto chiarificato giusta la domanda.

Ora non costa che dal Consiglio Generale di Beneficenza si diano le determinazioni di giustizia.

Ma, essendosi passata detta verifica nella intelligenza delle parti, gli Eccellentissimi Esecutori   del Concordato, per mezzo della Commissione Mista del Patrimonio Regolare, non ha risposto al Consiglio di Beneficenza, ma si sono diretti a V.E. e ne attendono la risoluzione che,

stante al ritardo, dal sig. Intendente si è sollecitato il riscontro per mezzo di S.E. il Ministro degli affari interni, come il medesimo per lo stesso Intendente si è benignato di far conoscere; ond’è che, colle più calde preghiere, si supplica dare una sollecita favorevole risoluzione giacchè “res clamat ad Dominum”, permettendo al Consiglio di eneficenza di dar fine a tal pendenza con ordinare la resituzione dei cespiti liquidati appartenenti alla Cappella del SS.mo Rosario, già S.M. conceduri al novello Conservatorio, che sorge sotto i fausti auspicii del Nostro Benefico Religioso Sovrano, opera egualmente destinata alla gloria di Dio ed al bene del prossimo e della Stato; per cui il Cuore sensibile di V.E. se ne incaricherà, il tutto “ut Deus”. Emanuela La Monica Isitutrice.

 

Doc. n. 4 – La Comune di Orsara e con essa la Commissione Amministrativa degli Ospizij, sin dal 1826 ha reclamato da Sua Maestà una dotazione per sostegno ed ampliazione dell’Orfanotrofio, che colà so trova costituito per dar ricovero ed istruzione alle donzelle prive di genitori e di mezzi di soccorso. Una lunga corrispondenza ha avuto luogo all’oggeto del Real Ministro degli Affari Interni. Varii progetti vennero presentati, perchè conosciuti inefficaci. Finalmente, la sostanza delle cose s’è ristretta al recupero dei fondi e cespiti un tempo spettanti alla Congregazione del SS. Rosario, confusi con quelli dell’ex Monistero dei Domenicani di Orsara, passati, avvenuta la soppressione, sotto la dipendenza del Demanio, al quale, per effetto del Concordato, è succeduto il Patrimonio Regolare. Ma, nel mentre il Consiglio Generale si stava applicando per proseguire l’incoato giudizio di rivindica di tali cespiti nel Tribunale di Lucera contro il Patrimonio Regolare e contro il Monistero di S. Andrea delle Moniche Dame di Napoli, la Commessione dello stesso Patrimonio Regolare, lungi da sostenere un giudizio, progettò esaminarsi bonariamente la questione colla quale si annuì. Quindi si proseguirono la tracce per la identificazione dei fondi e censi, acciò si avesse potuto venire alle trattative di un bonario accomodo. Tale identificazione venne effettuata nel dì 3 luglio 1832, coll’

ed agrimensori, il tutto liquidarono per cui venne redatto un solenne verbale, in cui fondi, censi e cesti della Congregazione del Rosario vennero minutamente descritti. Fatta tale operazione, gli Eccell.mi Esecutori del Concordato, si compiacquero di risolvere che, trovandosi i beni in discorso assegnati al Monistero di S. Abdrea, fosse, perciò, rimasta a cura di questo la ultimazione della vertenza, come manifestò la Commessione del Patrimonio Regolare coll’uffizio dei 3 aprile ultimo. In seguito di tutto ciò, per parte della Superiora del Monistero medesimo, cogli uffizi dei 26 giugno e 6 dello spirante agosto, si sono avvanzati alcuni progetti per finalizzarsi l’affare e venirsi alla stipula con pubblico istrumento; quali, passati all’intelligenza della Commissione Amministrativa di Orsara, nel mentre dalla medesima si sono date le congrue risposte, come si ravvisa dalle ralazioni del dì 6 Luglio e 20 Agosto, s’è rimessa all’arbitrio del Consiglio la risoluzione del negozio.

Il Consiglio Generale: visto l’incartamento esistente nella Segreteria formatto all’oggetto; visto il verbale della liquidazione dei fondi, censi e cespiti appartenenti alla Congregazione di Orsara che si posseggono dal Monistero  delle Signore Monache Dame di S. Andrema di Napoli, effettuato legittimamente nel dì 3 Luglio 1832; visto i progetti fatti dalle rispettive parti; considerando che il Monistero enunciato con tutta compiacenza s’induca a rilasciare i beni e cespiti enunciati senza strepito giudiziario; considerando che la rendita di tali beni reca un sollievo alle donzelle orfane chiuse nel  Conservatorio di Orsara che si trova nella positiva indigenza; PROVVEDE: che fra le parti si divenga alla stipola di un pubblico istrumento nel quale si debbono descrivere tutti i beni, censi e cespiti si possedevano dalla Congregazione del Rosario, giusta la liquidazione fatta col verbale del dì 3 Luglio 1832, colle seguenti condizioni:

1.      I fondi rustici saranno ceduti all’Orfanotrofio di Orsara in quel giorno in cui l’istrumento medesimo verrà stipolato, restando da quel tempo a cura e peso del medesimo la contribuzione della fondiaria;

2.      Sebbene i fondi enunciati hanno attualmente una maggiore estensione di quella che si richiede dall’Orfanotrofio medesimo, pure saranno ceduti per quella estensione in cui si trovano;

3.      Dovrà rispettarsi l’affitto a favore di D. Pietrantonio Spontarelli di Orsara per tutto Agosto 1836, giusta l’istrumento del 6 Luglio 1830 per il Notar D. Ferdinando Casella di Napoli;

4.      Siccome i suddetti fondi sono compresi in un affitto generale per l’estaglio di D(ucati) 130 e fatto il conto di proporzione sull’imponibile fondiario, ricade la porzione a favore del med(esim)o Orfanotrofio in annui D. 56,50;

5.      Si cedono i censi e capitali chiesti con tutti gli attrassi che per lo più ammontano a circa dieci annate per ciascuno;

6.      I frutti e rendite di tutti i fondi rustici da consegnarsi dovranno cedersi a beneficio del Monistero medesimo sino al giorno della stipola dell’istrumento;

7.      Il Monistero enunciato parimenti pagherà di proprio denaro quanto ammonterà il debito della fondiaria fino al med(esim)o giorno della stipula suddetta, come parimenti resta a di lui peso il pagamento della Procura per la stipula dell’istrumento suddetto, quella della stipola med(esim)a copia di prima edizione da rilasciarsi all’Orfanotrofio e per la mutazione di questo nell’Uffizio della direzione della fondiaria;

8.      Poichè la Beneficenza all’appoggio del Catasto del 1753 ha cercato revindicare detti fondi ed annualità, come di spettanza della Cappella del Rosario di Orsara, allorchè il Monistero medesimo di S. Andera crede che siano di proprietà di quelli ex Domenicani, perciò l’istesso Monistero di riserba il diritto di sperimentare la rivindica, laddove si trovasse qualche titolo, che s’è ignorato sinora. Passarsi copia del presente appuntamento non solo alla Commissione Amministrativa di Orsara, ma alla Superiora del Monistero di S. Andrea delle Dame Monache di Napoli per essere sottoscritto ed accettato dalle rispettive parti, affine di riferirgli in seguito l’occorrente a S. E. il Ministro Segretario di Stato degli affari interni per la debita sanzione e onde divenirsi alla stipula dell’istrumento. E così ecc. Foggia 30 Agosto 1833. L’Intendente Sorrentino. Foggia lì 3 settembre 1833. Per copia conforme. Il Segretario del Consiglio Generale di Beneficenza; Giuseppe Maria de’Meo. V’è il suggello. Per copia uguale: Nicasio de Gregorio, Sindaco Direttore. Il soprascritto appuntamento si accetta in tutte le sue parti; solo il godimento dei frutti dei terreni s’intende cominciato dal 1° Settembre del cominciato anno colonico, giusta la volontaria cessione contenuta

nel progetto di accomodo proposto dalla Superiora del Monistero di S. Andrea in data del 3 Agosto ultimo. Fatto in Orsara lì 5 ottobre 1833 = Firme della Commissione: Nicasio De Gregorio, Sindaco Direttore; Michele ca(nonic)o Cappetta, Economo Curato; Pasquale Ricci, Commissario; Gaetano Fresini, Commissario. Porta il timbro che lascia leggere: “Capitulum Sancti Angeli Ursarie”.

 

Doc. n. 5 – Regno delle Due Sicilie. Il giorno ecc. – Ferdinando II ecc.

Innanzi di noi Ferd(inand)o Caserta del fu P(asqua)le, pubblico e regio Notaro di questa città di Napoli, Prov. Di Napoli, di studio in casa di nostra abitazione sita Strada Trinità Maggiore n. 32, ultimo piano, Palazzo del Principe di Ravello ed in presenza dei testimoni quì sottofirmati di quetsa med. Città richiesti e da noi Notaro a termine della Legge ben conosciuti di maggiore età, partecipi dei diritti civili e no avendo alcuna eccezione con connessarsi….. . Da una parte l’illustre Signora D. Maria Vittoria Monforte, figlia del fu D. Michele, Priore del venerabile Monistero di S. Andrea Apostolo delle Donne Monache di questa Citta ed ivi domiciliata con le più ampie facoltà a poter intervenire a qualunqur atto; come rilevasi dall’atto Capitolare del dì 24 Maggio 1831 registrato ecc., che originalmente trovasi allegato nell’istrumento da me stipulato a 12 giugno d(ett)o anno, registrato ecc. La medesima interviene alla stipula del presente istrumento per d(ett)o venerabile Monistero e sue Signore Dame Monache presenti e successive future. E da fuori di d. grado…. dall’altra parte il sig…. figlio…. domiciliato…. Procuratore della Commissione Amministrativa dell’Orfanotrofio del Comune di Orsara, così costituito con atto di Procura in Benevento fatto avanti al R. Notaro…. reg.to…. che originalmente verrà allegato in piè del presente atto colla speciale facoltà di potere intervenire alla stipola di questo istrumento e detta Commissione Amministrativa, e per gli rapporti presentati dalla med(esima) e per gli aventi causa da essi.

Le signore parti contraenti sono di maggiore ètà e da noi Notaio e testimoni sottofirmati ben cogniti, dichiarano quanto segue. Che ad istanza della suddetta Commissione Amministrativa dell’Orfanotrofio di

Orsara, autorizzata da S.M., giusta la Ministeriale degli Affari Interni dei 25 Marzo 1829 alla revindica dei fondi e censi una volta di spettanza alla Cappella del SS.mo Rosario, eretta nella chiesa di quell’ex Domenicani, per servire di dotazione all’Orfanotrofio anzid° con atto di citazione del dì 16 ottobre 1830, reg.to….. per l’Usciere del Tribunale Civile di Capitanata Agostino Fania, fu intimato al sig. Intendente della Prov. Di Capitanata, invece della Commisione Mista Amministrativa dei beni del Patrimonio Regolare residente in Napoli e, quindi, con altro atto dei 10 D(icem)bre d(rtt)o anno reg.to per l’Usciere del Tribunale Civile di Napoli Luigi del Vecchio  fu intimato il Monistero di S. Andrea delle Monache a comparire innanzi al Tribunale di Lucera per sentirsi condannato alla seguente domanda.

Soppresso il Monistero di S. Domenico esistente nel Comune di Orsara, i beni del medesimo passarono al Demanio in parte, ed in parte al Monistero delle Dame Monache di S. Andrea di Napoli, restarono sia tali beni confusi (che) quelli appartenenti alla Cappella del SS. Rosario un tempo esistenti nel Monistero med(esim)o; ora essendosi da Sovrana disposizione del Conservatorio delle donzelle da erigersi in quel Comune, così si vengono a rivendicare li seguenti fondi delle Donne Monache di S: Andrea.

  1. al luogo detto Cerri versure 5 e passi 40, portato nel Catasto provvisorio alla Sezione C, n. 21 per l’imponibile di D. 17,49;
  2. al Beveratoio versure 3, notato in Catasto Sez. C n. 74 per l’imponibile di D. 14;
  3. al Mulino di Chierico versura una, portato in fondiaria alla Sez. B n. 18 per l’imponibile di D. 7,56;
  4. alla Scampata versura una, descritto in fondiaria alla Sez. D n. 42 per l’imp. di D. 5,51;
  5. al Beveraturo, ossia Lago di Palandra versure 10 e passi 30, portato in Fondiaria alla Sez. F. 18 per l’impon. di D. 32,11;
  6. alla via di Bovino versure 3, luogo detto lo Salcone, descritto in Fondiaria alla Sez. E n. 78 per l’impon. di D. 7,72. In uno versure 24 e passi 10.Censi costituiti: sopra Urbano Frisoli, indi Romolo Biondo, oggi Lorenzo di Martino, capitale D. 60. Angelo del Sonno, oggi eredi di D. Urbano Tozzi D. 16.

 

Ed in potere del Patrimonio Regolare (Demanio) vi sono i seguenti cespiti:

  1. Capit. Di D. 40 dovuto da Vito Tozzi ed indi da Ant(oni)o Buonassisi ed ora dai figli di F(rance)sco e D. V(incen)zo Buonassisi.
  2. Cap. di D: 16 dovuto da Vito Tozzi, indi da Ant(oni)o Buonasissi ed ora dai figli F.sco e V.zo Buonassisi.
  3. Cap(itale) di D. 16 dovuto da Vito e Sebastiano del Priore, aventi causa da D.co Acquilino.
  4. Canone di grana 65 infisso sulla vigna di Tommaso Totta e per esso da Miche e Luca Mastronicola del fu Giovanni, tale censo enfiteutico è sopra la vigna in Fornillo. Ho, infine, dichiarato ad essa Sig.ra Badessa che il sig. D. Francesco di Peppo, avvocato e patrocinatore del prelodato Tribunale Civile di Capitanata, residente in Lucera, rappresenterà l’istante tanto per la restituzione dei beni posseduti dalle donne Monache di S. Andrea, che per quelli del Demanio all’oggetto citato. In seguito l’affare fu sospeso nella via giudiziaria e venne trattato amministrativamente ed economicamente; ed,  infatti, dalla Commissione del Patrimonio Regolare, in data dei 10 agosto 1831, si scrisse al sig. Intendente, che, trovandosi la medesima autorizzata dagli Eccellentissimi Esecutori del Concordato a trattare sulla domanda della Beneficenza di Orsara, era necessario tener presente quanto riguarda:
  1.  che i cespiti che la Beneficenza, sull’appoggio del Catasto del 1753, cercò revindicare, sono descritti sul libro dei Domenicani intitolato Repertorio del 1758 di tutti i beni medesimi, come di loro assoluta proprietà; dai Domenicani passarono al demanio nella Soppressione in virtù del decreto dei 7 agosto 1809 e quindi  dal Demanio al Patrimonio Regolare per l’art. 12 del Concordato. E che il d(ett)o Repertorio cita anche i fogli del Cabreo, il quale non è stato possibile rinvenire, perchè forse sottratto all’epoca della soppressione;
  2. che i Domenicani, per effetto di quanto s’è accennato nel precedente art(icol)o dovettero essi fare acquisto dei fondi tra il 1753 ed il 1758, circostanza che si sarebbe potuto conoscere laddove il Cabreo suaccennato si fosse trovato, nel quale doveva certamente notarsi il titolo

dell’acquisto, come di loro proprietà assoluta;

  1. che il lungo e non interrotto pacifico possesso a titolo di proprietà dal 1758 al 16 ottobre 1830, giorno dell’introduzione del giudizio, fa molto peso anche se la Beneficenza l’avesse ignorato.
  2. per conseguenza che le additate ragioni, laddòve per poco non fossero state valevoli a rimuovere la domanda della Beneficenza, non potrà negarsi che il Demanio, il Patrimonio Regolare ed il Monistero di S. Andrea siano stati possessori di buona fede, perciò non obbligati a restituzione di frutti.
  3. finalmente provarsi che le annualità ed i fondi in disputa si fossero trovati presso del Patrimonio Regolare e del divisato Monastero, e perciò essere necessario procedersi all’identificazione dei chiesti cespiti. Alla base di queste trattative furono incaricati da parte della Commissione del Patrimonio Regolare, l’avv. D. Gennaro Fiore,  domiciliato a Lucera, e da parte della Beneficenza D. Luigi Varo di Troia, deputato e rappresentante del Consiglio di Beneficenza; nonchè D. Nicasio De Gregorio, Sindaco e Direttore  della Commissione di Beneficenza del Comune di Orsara, onde esaminare se i cespiti chiesti chiesti si trovavano presso il Patrimonio Regolare e Monistero di S: Andrea ed, in effetti, i medesimi, coll’assistenza di Gius(eppe) Rutigliano Regio Agrimensore, e D(omeni)co Frisoli, perito, eseguirono l’esame e trovarono identicamente i descritti cespiti in possesso. Questi cespiti  tutti sono disegnati con la loro confinazione nel verbale redatto il 3 luglio 1832, registrato ecc. dai suddetti incaricati del Patrimonio Regolare e Beneficenza di Orsara, che, in fine del presente atto, verrà alligato. Dopo eseguita la suddetta identificazione, il Patrimonio Regolare riferì agli Eccellentissimi Esecutori del Concordato il risultato per aversi le autorizzazione analoghe, i quali con venerata carta dei 12 Marzo 1833 ordinarono che la conciliazione di questo affare fosse rimasta esclusivamente a cura del Monistero di S. Andrea delle Monache. In questo stato di cose il Monastero si pose in corrispondenza col sig. Intendente della Provincia, per mezzo del quale il Monastero è divenuto a dare bonariamente all’Orfanotrofio di Orsara i suddetti beni, ma con i seguenti patti e condizioni:

art. 1° – La d.a Signora D. Maria Vittoria Monforte, in nome e per parte di d° venerabile Monistero di S. Andrea delle Monache di questa Città e sue Signore Dame Monache, cede e rinunzia in beneficio dell’Orfanotrofio

di Orsara tutti i di sopra descritti fondi della Cappella del Rosario, a corpo e non a misura e per quella estensione e stato in cui ora si trovano e con tutte quelle azioni, servitù attive e passive ed altri obblighi e diritti qualsiansi, senza avere detto Orfanotrofio cosa alcuna a pretendere per l’avvenire del Monistero, nè questi al contrario potrà per il tratto successivo alcuna cosa pretendere, tranne le eccezioni e riserve contenute ed espresse a favore del Monastero nell’art. 7 del presente istrumento.

art. 2° – Da questo giorno in avanti decorrere deve in beneficio dell’Orfanotrofio di Orsara la rendita dei suddetti fondi rustici e da questo giorno in poi rimane a carico dell’Orfanotrofio il peso fondiario.

art. 3° – Dovrà l’Orfanotrofio rispettare per la sua durata a tutto Agosto 1828 l’affitto dei suddetti fondi che si tiene da D. Pietrantonio Spontarelli con i patti e le condizioni stabilite da esso ministero col medesimo giusta l’istrumento fatto davanti di noi Notaro il giorno sei luglio 1830, registrato….

art. 4° – Siccome i suddetti fondi ceduti dal Monistero sono compresi nell’affitto generale suindicato del 6 luglio 1830, il quale contiene tutti i fondi che egli possiede in quel Comune di Orsara per l’annuo estaglio di D. 130 e, fatto il conto di proporzione sull’imponibile fondiario, ricade la porzione a favore dell’Orfanotrofio in annui D. 56,50, che godrà da questo giorno in poi.

art. 5° – Dalla rata, che spetterà all’Orfanotrofio per l’annata colonica a tutto agosto 1831, in D…. detratta la contribuzione fondiaria che il Monistero ha pagata sino al dì…. resta perciò l’Orfanotrofio a conseguire in questa prima annata dall’affittatore Sig. Spontarelli D. e dal vegnente anno in poi, durante il fitto del med° la suddetta proporzionale somma di annui D. 56,50.

art. 6° – La detta Signora Priora D. Maria Vittoria Monforte, in nome e parte di d° Monasteroe sue Signore Dame Monache cede e rinunzia in beneficio di detto Orfanotrofio di Orsara i soprascritti censi, uno con tutti gli arretrati dovuti e che si troveranno ripetibili.

art. 7° – La d.a Sig. Priora di d° Monastero in nome e parte di d. e Signore Dame Monache, atteso che la Beneficenza di Orsara all’appoggio del Catasto del 1753 ha cercato revindicare in beneficio di quell’Orfanotrofio

i suddetti beni voluti di quella Cappella del Rosario, su ciò riserva la med.a Sig. Priora al Monastero il diritto di sperimentare la revindica laddove si trovasse qualche titolo, che s’è ignorato finora, dal quale risultasse che i cespiti sopraccennati ceduti, erano di proprietà dei Domenicani di Orsara ,e non già della suddetta  Cappella del Rosario, divenuto alla presente cessione dei fondi e censi  senza di cui non avrebbe ciò eseguito.

E finalmente le spese della stipula del presente stipulo e copia di prima edizione da consegnarsi all’Orfanotrofio ,restano a carico di d° Monistero.Foggia 14 Dicembre 1833.

Per copia conforme. Il Segretario del Consiglio Generale di Beneficenza Giu. Maria de Meo. V’è il suggello. Per copia conforma a quella rimessa dal sig. Intendente con  rispettabbile ufficio dei 2 aprile 1834.N.di Protocollo 1963 e restituita al med. O salvo miglior confronto.

p. 47 Appunti diversi

1° – D.Emanuela la Monica di Orsara umiliò a S.M. fin dal 1821 le regole che si vogliono adottare nel conservatorio delle Donzelle di Orsara alla Superiora del Conservatorio di Serra Capriola  e dieci monache di recarsi ad organizzare il d° Conservatorio di Orsara avendo le medesime dato il loro consenso scritto.

Sua Maestà s’è benignata rimettere al Consiglio Generale di Beneficenza tale incartamento per il parere ed il Consiglio s’è rivolto pure per il parere a Monsignore di Troia.

2° – Nel 1831 Emanuela la Monica si rivolse al Re per ottenere un supplemento di rendita per il mantenimento del Conservatorio e nel giugno dello stesso anno si ottenne un supplemento di rendita di D. 189,42.

3°-Dai restituiti cespiti del Rosario……..           D. 56,50

Dal Comune……                                         120,00

Legato D(omenic)o Augello….                      10,00

Supplemento rendita avuta nel 1831…           189,42

 

D. 375,92.

 

I commenti sono chiusi.